Autore: Darìo Aranda su
http://www.ecoportal.net/Temas_Especiales/Suelos/Tierra_yerma_o_Granero_del_mundo
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Traduzione:
Chiara Madaro
Disboscamento,
dislocazioni e uso massiccio di agrochimici: sono alcune delle conseguenze già
conosciute dell’attuale modello agricolo. Un altro fattore fondamentale,
riconosciuto anche da imprese e governi, è l’impoverimento dei suoli. Con ogni
‘buque’[1]
carico di soia si esportano 3.500 tonnellate di nutrienti. “L’eccesso di soia
nella matrice granaria è un attentato contro la conservazione del suolo”. La
critica non arriva da un’organizzazione sociomabientale nè da ricercatori
critici contro il modello agricolo (i quali avvertono i medesimi rischi), ma da
un editoriale del quotidiano La Nación, tribuna agricola.
E’
un fatto che ormai nessuno smentisce: i suoli dedicati all’agricoltura si stanno
impoverendo a ritmo accellerato, fatto
che già impatta sulla produttività e sottolinea i limiti e le conseguenze del
modello agroindustriale. Dati del Instituto de Tecnología Agropecuaria (INTA)
rivelano che con ogni nave carica di soia si perdono 3.500 tonnellate di
nutrienti.
L’impoverimento
dei suoli e il modello agrario così come l’attività mineraria estrattiva hanno
lo stesso significato. Il suolo è composto da polvere e minerali ma al tempo
stesso è un ecosistema vivo e dinamico con migliaia di esseri viventi
miscroscopici i quali contribuiscono alla ritenzione e alla distribuzione dei
nutrienti, imprescindibili affinchè le piante crescano. Il suolo è anche
materia organica (sostanze che sono il risultato della decomposizione di
materia animale e vegetale). Tutte le
piante prendono nutrienti dal suolo e tutti gli altri residui (sostanze che
sono il risultato della decomposizione della materia animale e vegetale) consegnano nutrienti alle piante
che crescono. La materia organica è importante affinchè si eviti l’erosione del
suolo e renderlo maggiormente poroso, fatto che aiuta l’assorbimento dell’acqua
(ed evitare lo scorrimento rapido, anticamera delle inondazioni).
Fa
tutto parte di un processo ciclico di accumulazione antico di migliaia di anni.
“La materia organica si trova sopratutto nello strato superiore del suolo (la
più fertile). La vita vegetale e la fertilità del suolo sono processi che si
avvantaggiano reciprocamente e la materia organica è il ponte”, spiega
l’organizzazione internazionale GRAIN nel suo dossier “Estrattivismo e
agricoltura industriale o come convertire suoli fertili in territori minerari”.
La soia occupa 20milioni di ettari. Il 60% della superficie coltivata in
Argentina. Un solo prodotto. La soia è la regina. E nella sua crescita consuma
nutrienti. Esempio: in una produzione di 4.000 kili per ettaro, la soia consuma
anche fosforo, potassio e zolfo.
L’Istituto
Nazionale di Tecnologia Agraria è l’organismo ufficiale maggiormente
riconosciuto nel mondo agrario argentino ed è stato (è) il braccio tecnico
esecutore nella conferma del commercio agrario. Proprio secondo INTA, “In una
nave caricata con 40mila tonnellate di soia si esportano 3.576 tonnellate di
nutrienti. Se il carico è di grano i nutrienti raggiungono le 1.176 tonnellate
e, nel caso del mais, 966 tonnellate per ogni nave.
Nel
caso della soia, le 3.576 tonnellate di nutrienti estratti (azoto, fosforo,
zolfo, potassio e magnesio) equivalgono a 8.700 tonnellate di fertilizzanti
(urea, perfosfato semplice, cloruro di potassio e solfato di magnesio). Ogni
tonnellata di fertilizzante ha un costo medio di 450 dollari, valore che,
moltiplicato per 8.700, fa quasi 4 milioni di dollari che vanno via dal suolo
argentino con ogni nave di soia.
In
un raccolto stimato in 54 milioni di tonnellate, il costo dei nutrienti
estratti si avvicina ai 5.265 milioni di dollari. Una fortuna che viene
estratta dal suolo argentino. INTA lo chiama “costo occulto” del terreno
destinato all’agricoltura.
L’ingegnera
agronoma Graciela Cordone di INTA Casilda[2]
è tra le autrici del dossier e ha illustrato così la fuga dei nutrrienti: “Avremmo
bisogno di 300 camion per caricare i fertilizzanti che contengononi nutrienti
che si esportano in ogni nave”. A questo si dovrebbe sommare la matreia organica
che si perde e che ha una diretta relazione con la qualità (che si va perdendo)
del suolo. “Si deve prendere coscienza del fatto che il suolo si esaurirà se
continuiamo a sfruttarlo con l’attuale sistema produttivo. Dobbiamo usarlo in
maniera sostenibile in modo che i nostri figli possano continuare a produrre
con buon rendimento”, avverte la ricercatrice INTA.
Il
modello
Il
Secondo Congresso Nazionale di Ecologia e Biologia dei Suoli (Conebios II), è
il nome di un meeting poco comune che ha visto riunirsi nel corso di tre giorni
scienziati preoccupati della situazione critica delle superfici agricole
sfruttate. Nel corso dell’incontro sono stati presentati 74 lavori scientifici.
“Si sfrutta il suolo fino all’esaurimento dei nutrienti ed esiste il pericolo
di una virtuale scomparsa”, avvisa il documento finale elaborato al termine dei
lavori in cui viene sottolineato che il suolo è un bene sociale e, come tale,
deve stare a disposizione e a beneficio di tutti.
Realizzato
nell’aprile del 2011, il congresso è stato l’anticamera della creazione della
Società Argentina di Biologia ed Ecologia dei Suoli e nelle sue conclusioni ha
sottolineato che l’applicazione di agrochimici riduce l’abbondanza e la
diversità delle comunità di animali esistenti nel suolo (animali che regolano i
processi ecologici del suolo e hanno una relazione con la fertilità degli
stessi), una proporzione considerevole di pesticidi può danneggiare i
microorganismi (batteri e funghi) del suolo e assicura che gli agrochimici
maggiormente utilizzati negli attuali sistemi dominanti di produzione agricola
producono alterazioni nella fissazione dell’azoto.
I
ricercatori hanno ricordato che i suoli attuali sono il risultato di processi
fisici, chimici e biologici realizzati nel corso di milioni di anni e che il
recupero degli stessi a fronte dell’attuale deterioremento che stanno subendo
può essere estremamente lento o addirittura inesistente. “Il suolo si deve
considerare a fini pratici come un bene non rinnovabile”, avvisa il documento
finale del Congresso e afferma che l’attuale modello agricolo dominante “compromette
lo stesso processo produttivo a medio e lungo termine e colpisce negativamente
l’integrità e funzionalità dell’ecosistema del suolo e, pertanto, compromette
la sostenibilità”.
L’organizzazione
internazionale GRAIN ha investigato per 20 anni producendo materiale sull’impatto
della produzione alimentare concentrata nelle mani delle corporazioni.
“Estrattivismo e agricoltura industriale o come convertire i suoli fertili in territori minerari”, è il titolo di questa ricerca che spiega come il modello agricolo decimi i suoli. Viene precisato che nella seconda metà del XX secolo si dette impulso alla cosiddetta “rivoluzione verde”, un modello di agroimprese (avviato col via libera dei governi) basato su agrochimici, semi sotto controllo societario e monocolture. “In un sol colpo si tentò di cancellare 10mila anni di costruzione di saperi fino a rendere i suoli un substrato morto ai fini dello sviluppo delle piante con l’apporto di nutrienti esterni una volta che quelli del suolo si sono esauriti”, denuncia.
Analizza,
poi le informazioni ufficilai di INTA e precisa numeri dei campi usati per la
coltivazione in Argentina: nell’anno 2006/07 sono state estratte 3.500 milioni
di tonnellate di azoto, fosforo, potassio e zolfo. Tradotto in denaro: 1.700
milioni di dollari.
Quanto
alla soia, afferma che produce “una intensa degradazione”, con una perdita che
va tra le 19 e le 30 tonnellate di suolo in base alla gestione, alla pendenza
del suolo e al clima.
Nel
periodo 2006/07, con una produzione di 47milioni di tonnellate di soia, si sono
estratte 1.149.000 tonnellate di azoto, 255.000 tonnellate di fosforo, 760.000
tonnellate di potassio. “L’agricoltura industriale è un’attività estrattivista
perchè considera i suoli come un substrato inerte dal quale si estraggono
nutrienti (proteine e minerali) utilizzando tecnologie e prodotti chimici
(fertilizzanti, pesticidi, erbicidi, fungicidi)”, afferma GRAIN e la paragona
con l’attività mineraria “con l’unica differenza che con l’industria mineraria
si estraggono minerali in maniera diretta e con l’agricoltura industriale ciò
avviene attraverso un processo biologico (la crescita di piante che sono quelle
che contengono i nutrienti)”.
E
nota altre coincidenze tra l’agroindustria e l’industria mineraria a cielo
aperto: distruzione territoriale, devastazione della biodiversità,
contaminazione massiccia, estrazione di quantità immense di acqua e
contaminazione delle falde vicine, impatto sulla salute umana e animale,
distruzione delle economie regionali e inesistente creazione di impieghi per le
popolazioni locali. E conclude: “Entrambe le attività sono insostenibili”.
A
differenza di quanto succede con le conseguenze degli agrotossici e dei
transgenici, vi è unanime consenso sul fatto che l’impoverimento dei suoli sia
dovuto al modello agricolo industriale. Anche chi dà impulso e sostegno al
modello (come INTA e buona parte dei giornalisti del settore) avvisano della
perdita di nutrienti.
La
grande differenza di posizioni si evidenzia invece quando si parla sul
comportamento da adottare nei confronti dell’industria agro-mineraria. Le
imprese propongono di raddoppiare il giro di affari: vendere fertilizzanti per
tentare di recuperare almeno in parte i nutrienti (e parte della qualità del
suolo). E’ un circolo vizioso in cui il modello impresariale governativo
impoverisce i suoli e al tempo stesso, promette di migliorarlo se si comprano i
suoi prodotti.
Un
parallelo possibile: le industrie del tabacco che offrono cure mediche per il
cancro.
Proprio
in seno a questa proposta di soluzione del problema, lo stesso INTA avverte: “In
Argentina rimane solo il 37% dei nutrienti del suolo”. Il quotidiano La Nazione
dà il proprio contributo: “I suoli dedicati all’agricoltura sono meno
fertilizzati e si è aggravato il deficit di nutrienti nel suolo”, titola nell’edizione
del 4 aprile 2013. Precisando che dei 6 milioni di tonnellate di “fertilizzanti
estratti non risparmia il raccolto”, due milioni di tonnellate corrispondono a
potassio e gli altri 4 milioni a azoto, fosforo e zolfo. Lamentando, inoltre, che
erano stati piazzati (venduti) solo tre milioni di tonnellate di fertilizzante
(15% meno del raccolto precedente).
Lo
studio di INTA, “Estrazione di nutrienti nell’agricoltura argentina”, di
Gustavo Cruzate e Roberto Casas, specifica che la ‘sistemazione’ dei nutrienti
varia tra il 34 e il 41% in ogni raccolto. L’organizzazione GRAIN riassume la
valanga di critiche rispetto alle proposte delle imprese: “Il grande paradosso
è che il ‘ciclo’ dell’agricoltura industriale si completa incorporando
fertilizzanti che a loro volta devono essere estratti dal suolo (il fosforo e l’azoto)
o fabbricarli dal petrolio (come l’azoto). Nessuno di questi prodotti è
rinnovabile e a medio termine si deterioreranno. Ma è ugualmente grave il fatto
che l’uso massiccio del suolo completa senza ombra di dubbio la distruzione dei
suoli”.
GRAIN
esclude che una soluzione possa essere l’applicazione massiccia di
fertilizzanti e propone di alimentare i suoli incoroprando materia organica,
diversificando le coltivazioni, uscendo dal modello agroindustriale delle
monocolture.
L’Organizzazione
dell Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO), il 24 luglio ha
lanciato un “piano di azione per frenare il crescente degrado del suolo”. La
FAO, molte volte segnalata dalle organizzazioni contadine di incentivare la
grande industria agraria e boicottare quella familiare e agroecologica, ha
approvato a Roma un cronogramma di azioni per la costituzione di “regole chiare
e azioni corrispondenti (da parte dei Governi) per la gestione sostenibile dei
suoli”. “L’attuale ritmo crescente di degrado del suolo minaccia la capacità
delle generazioni future di coprire le proprie necessità”, ha avvisato la FAO e
ha precisato che il 33% dei suoli coltivabili del mondo sono colpiti dalla
perdita dei nutrienti, dall’acidificazione, dalla salinizzazione e dalla
contaminazione chimica.
L’agenzia
specializzata nella pubblicazione di notizie ufficiali Télam ha parlato
esplicitamente della crisi del suolo il 26 maggio scorso. Titolava: “Si dà
impulso ad un piano minerario per fornire i territori agricoli con minerali per
ottimizzare la qualità del suolo”. Il sottotitolo rafforzava il profilo della
notizia parlandone come di un fatto positivo: “Il governo nazionale dà impulso
al disegno di un programma destinato a ottimizzare la qualità e la produttività
delle terre, in particolare per la zona della Pampa Umida”.
L’articolo,
poi, specificava che il Ministero dell’Industria Mineraria e dell’Agricoltura
hanno iniziato un programma di “fornitura per la campagna, con minerali
destinati ad ottimizzare la qualità dei suoli”.
Jorge
Mayoral, segretario di Minería de Nación, ha dichiarato a Tèlam: “Il suolo non
è una risorsa inesauribile, fin quando è utilizzato dall’agricoltura perde i
suoi migliori micro e macro nutrienti che sono i minerali e dunque è necessario
tornare a restituire minerali in modo che i rendimenti perdurino o migliorino”.
Ha chiarito, poi, che l’iniziativa punta a fare in modo che “il paese produca
di più” e ha spiegato che sono necessari macchinari agricoli progettati
specificamente per l’arricchimento dei suoli.
L’articolo
dell’agenzia ufficiale termina con una citazione del segretario Mayoral in tono
trionfante: “Un anello ulteriore nella catena di valore pensata per questo
programma è che siamo tutti nazionalisti e popolari. Il campo, il ‘chacarerismo’[3]
che non ha dollari per gli agrochimici ma può accedere a questi minerali che
approvvigionano i produttori locali e permettono loro di migliorare il
rendimento e fare migliori affari”.
Come
si vede l’industria minerale agraria è già in marcia. E il governo celebra.
http://www.telam.com.ar/notas/201405/64684-impulsan-un-plan-minero-paraabastecer-al-sector-agropecuario-para-optimizar-la-calidad-del-suelo.html
[1] Nave
di grandi dimensioni con una capacità superiore alle 500 tonnellate e
progettato per le lunghe distanze. Viene utilizata confini militari o
commerciali.
[2] Unità INTA ubicata nell’area centro
meridionale della provincia di Santa Fe.
[3] Da
Chacarera, ballo popolare argentino in cui i ballerini si afffrontano,
retrocedono e girano. La composizione musicale ha carattere picaresco e ritmi
rapidi realizzati con chiatarra e bombo, tamburo tipico realizzato da una
sezione di tronco d’albero e pelli di capra.