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mercoledì 15 dicembre 2010

2011 – Anno internazionale delle foreste.

Di Chiara Madaro.

Si è appena conclusa a Cancun, in Messico, la Conferenza delle Parti dell’Onu sui cambiamenti climatici.
Dopo il fallimento del meeting di Copenhagen, la comunità internazionale sembra essersi sbloccata in merito al processo decisionale sebbene gli accordi presi non siano vincolanti ma su base volontaria.
Si tratta comunque di un primo passo in avanti, il più concreto ad oggi, che va nella direzione della gestione sostenibile delle foreste. Un passo dovuto che si muove sul percorso segnato dall’IPCC, il Panel Internazionale sui Cambiamenti Climatici, organo che in un rapporto del 2007 ha confermato il dato secondo il quale la deforestazione causa il 18-20% dell’emissione globale di gas a effetto serra; molto più di tutte le emissioni globali dovute al settore dei trasporti pubblici e di ogni altra emissione dovuta ai carburanti di origine fossile. Secondo l’IPCC, inoltre, la deforestazione è la causa principale dei cambiamenti climatici. Le foreste infatti sono in grado di sequestrare 5 miliardi di tonnellate di carbonio – il 20% delle emissioni totali annuali di carbonio dovute ad attività umane. Secondo questi studi si è calcolato che la vegetazione forestale globale assorbe 283 Gigatonnellate di carbonio. E’ per questo che le foreste vengono denominate ‘sinks’ ovvero depositi di carbonio.
Le foreste assumono quindi un ruolo cruciale nelle politiche internazionali per la mitigazione dei cambiamenti climatici.
E’ così che la COP ha approvato il REDD+, Riduzione delle Emissioni da Deforestazione e Degrado, un programma lanciato nel settembre 2008 e che ha tre obbiettivi principali: la conservazione delle foreste, la valorizzazione dello stoccaggio di carbonio e la gestione sostenibile delle foreste.
Si tratta di questioni di enorme importanza che necessitano però di un’attenta e responsabile gestione.
Si calcola che il 56% della copertura forestale mondiale si collochi in aree tropicali e subtropicali e solo 7 paesi posseggono il 60% di zona forestata.
Molti di questi sono paesi con economia in transizione e in via di sviluppo e questo costringe i relativi governi a concedere il taglio di vaste aree per favorire lo sviluppo economico.
Ma più di un miliardo di persone vivono grazie alla foresta, un terzo di tutta la popolazione mondiale. Centinaia di migliaia di persone traggono medicine per curarsi, cibo per nutrirsi, fuoco per riscaldare le loro abitazioni, vegetali per costruire le loro dimore.
Nel dicembre del 2005 un gruppo di paesi appartenenti alla Coalition of Rainforest Nations, guidate da Papua Nuova Guinea e Costa Rica hanno sottoposto una proposta formale in occasione della COP 11 di Montreal per la riduzione delle emissioni di GHG dovute a deforestazione.
Un buon uso del REDD+ dovrebbe però rispettare le conoscenze e i diritti dei popoli indigeni e dei membri delle comunità agricole locali coinvolgendole quali stakeholders nei progetti di gestione delle aree forestate.
Per questo appare necessario intraprendere politiche che si muovano nell’ottica di una democrazia multiculturale e decentralizzata.
Foreste tropicali, aree di alta montagna, aree costiere, zone soggette ad inondazioni, foreste temperate.
I popoli indigeni del mondo abitano tra i più fragili e preziosi ecosistemi esistenti al mondo.
La loro esistenza culturale, spirituale ed economica dipende strettamente dalla salubrità dei luoghi che abitano. E’ per questo che appare sempre più necessario che le nazioni del mondo si adoperino per la gestione sostenibile degli ecosistemi forestali. Una gestione che non può trascendere dal rispetto delle genti che abitano questi territori naturali e delle loro millenarie conoscenze.
Purtroppo alcuni programmi di sviluppo di queste aree hanno danneggiato ulteriormente fragili biomi e numerosi popoli indigeni vengono scacciati con violenza e senza che venga loro assegnato un idoneo luogo in cui poter abitare, pescare, cacciare, coltivare, vivere dignitosamente.
In Amazzonia la foresta è popolata da personaggi senza scrupoli come cercatori d’oro, di minerali preziosi, coltan, fazenderos senza scrupoli, madereiros ecc. che occupano e avvelenano terre protette, appartenenti per Costituzione agli indigeni e
rimanendo impuniti.
Nell’aprile del 2009 i popoli indigeni della Terra si sono riuniti nel Global Indigenous Peoples’ Summit on Climate Change da cui è nata la Dichiarazione di Anchorage. Qui viene ribadita l’importanza dei popoli indigeni e dei loro diritti a fronte dei processi che riguardano la mitigazione dei cambiamenti climatici.
Il meeting di Cancun sembra andare nella direzione delle richieste di questi popoli ma a fronte degli immensi interessi economici che le foreste smuovono nel mondo sembra opportuno vigilare sulle prossime mosse che verranno operate rispetto alle aree coperte dalla foresta. Oltre alle già citate prospezioni minerarie e al commercio del legno, infatti, i polmoni verdi del mondo attirano su di sé l’attenzione di speculatori del bio-diesel e di altre risorse naturali da cui derivano importanti principi attivi capaci di combattere efficacemente numerose malattie. Un tema scottante, quello dei diritti intellettuali collettivi, che nel 2000 ha causato una querelle che ha coinvolto l’organizzazione sociale Bioamazonia e la multinazionale Novartis Pharma. In seguito ad un loro accordo, infatti, 10.000 funghi e batteri all’anno sono stati trasferiti nei laboratori svizzeri per tre anni.
Tutto ciò senza chiedere alcuna approvazione ai popoli indigeni e quindi ignorando la Costituzione dell’88.

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