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martedì 18 agosto 2015

UE e OGM: la grande truffa

di Chiara Madaro

La direttiva sugli organismi geneticamente modificati (Ogm) pubblicata a marzo di quest’anno e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea con il titolo di “DIRETTIVA (UE) 2015/412 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell'11 marzo 2015”, è la rappresentazione di quanto l’esperienza dell’Unione Europea sia, ormai, diventata un coacervo di interessi, lontani dai principi ispiratori che hanno permesso il suo battesimo. La direttiva in questione modifica la precedente (2001/18/CE) e consente agli Stati Parti di legiferare autonomamente sul proprio territorio, questo, almeno, quanto divulgato. Ma cosa c’è d’altro?
Dal testo della Direttiva si evince come, di fatto, non esistano leggi comunitarie realmente restrittive in materia di organismi geneticamente modificati. Una ammissione di incapacità nel raggiungimento di accordi comuni, di una visione limitata sul futuro agricolo dell’Europa. Una visione che ha già impoverito grossi settori produttivi italiani e distrutto pregiate cultivar autoctone e, dunque, biodiversità mediterranea/capacità produttiva.
La direttiva emanata in marzo, tra l’altro, si contraddice nel momento in cui, dopo aver citato ciò che non è possibile non ricordare, ovvero il principio di precauzione e la necessità di accertarsi che le tecnologie utilizzate non danneggino ambiente e salute umana, afferma quanto segue:
(5) “Quando un OGM è autorizzato ai fini della coltivazione conformemente al quadro normativo dell'Unione sugli OGM e soddisfa, per quanto concerne la varietà da immettere in commercio, le prescrizioni del diritto dell'Unione sulla commercializzazione delle sementi e dei materiali di moltiplicazione delle piante, gli Stati membri non sono autorizzati a vietare, limitare o ostacolare la sua libera circolazione nel loro territorio, salvo che alle condizioni definite dal diritto dell'Unione”.
Oltre che un evidente lesione del diritto di sovranità nazionale, un veto, dunque, al divieto di utilizzo di Ogm. Un veto che, di fatto, annulla il messaggio che ha reso questa direttiva così popolare (o impopolare) tra coloro che lottano contro la biotecnologia degli Ogm da anni. Perché se anche fosse vero che il nostro Paese legiferasse ‘contro’, se un produttore – come già accade – decidesse di avviare una coltivazione Ogm, con queste poche righe, nessuno potrebbe impedirglielo.
In più parti, inoltre, la nuova Direttiva specifica che i divieti a cui gli Stati possono ricorrere riguardano la coltivazione e non il libero transito e commercio di prodotti Ogm. Al punto 16 si afferma, infatti:
(16) Le limitazioni o i divieti adottati ai sensi della presente direttiva dovrebbero riguardare la coltivazione, e non la libera circolazione e l'importazione, di sementi e materiale di propagazione vegetale geneticamente modificati, come tali o contenuti in prodotti, e dei prodotti del loro raccolto, e dovrebbero inoltre essere conformi ai trattati, in particolare per quanto riguarda il principio di non discriminazione tra prodotti nazionali e non nazionali, il principio di proporzionalità e l'articolo 34, l'articolo 36 e l'articolo 216, paragrafo 2, TFUE.
Inutile dire che questa norma
Un fatto grave se si pensa che nessun Ogm può dichiarasi sicuro per il semplice fatto che non conosciamo tutta la sequenza genica di ogni essere vivente e, dunque, non siamo in grado di comprendere a cosa ci condurrebbe o ci sta conducendo l’uso di Ogm e, non dimentichiamolo, di pesticidi, necessità collaterale alla biotecnologia agraria.
Secondo l’Istituto Biologico Italiano: “La funzione del Dna è ancora sconosciuta. In particolare è sconosciuto il rapporto fra i geni e anche il rapporto di ogni parte con l’intera molecola. Pertanto è molto rischioso modificare il Dna introducendo un gene, perché non si sa che cosa questo possa provocare. E’ possibile che provochi l’attivazione di un altro gene con produzione di sostanze indesiderate (fenomeni allergici sull’uomo)”[1]. Motivo per cui l’Ibi contesta il principio di ‘soglia minima di tolleranza’ affermando che si tratta, di fatto, di un raggiro per i consumatori. Un raggiro di cui siamo già vittime in quanto, senza saperlo, già consumiamo prodotti Ogm importati dagli Usa dietro concessione della Comunità Europea. Se qualcuno si fosse chiesto come mai si stia assistendo ad un’escalation delle allergie alimentari e il motivo per cui è costretto a scegliere tra i piaceri della buona tavola e la salute, forse, inizia a farsi un’idea.
E può iniziare a farsi un’idea anche chi si scopre resistente ad alcuni antibiotici. Risale ancora agli anni 90 un rapporto scientifico depositato alla Camera dei Comuni britannica sull’indebolimento di difese immunitarie dovuto al consumo di alimenti Ogm, mentre una ricerca olandese ha provato che il Dna contenuto in un alimento non viene immediatamente disattivato ma impiega sei minuti, un tempo durante il quale può passare ai batteri dell’intestino il gene di resistenza agli antibiotici.
Il Premio Nobel per la Pace Vandana Shiva, biologa e attivista nel campo dell’agricoltura tradizionale afferma: “Con l’industrializzazione e la globalizzazione degli alimenti, il problema della sicurezza alimentare diventa sempre più allarmante. Su scala globale, assistiamo al diffondersi di nuove epidemie e alla mutazione di patologie che diventano più virulente. (…) Negli ultimi decenni si sono avvicendate due generazioni di nuove tecnologie connesse alla produzione alimentare. La prima grande trasformazione comporta l’impiego di prodotti chimici in agricoltura propagandato con il nome di Rivoluzione verde. I veleni chimici utilizzati in guerra vengono riciclati in tempi di pace e distribuiti come fertilizzanti sintetici e pesticidi. L’agricoltura e la produzione alimentare si trovano così a dipendere da armi di distruzione di massa”[2].
L’Encefalopatia bovina spongiforme con la sua variante umana (morbo di Creutzfeld-Jacob), febbre suina, encefalopatie non mortali ma gravemente invalidanti, aviaria, sono alcuni esempi di mutazioni di virus che dagli animali passano all’uomo generando morti e malattie degenerative gravi.
Secondo la scienziata indiana Shiva, lo Stato, anziché garantire i cittadini ed avviare protocolli di controllo nei confronti delle grandi imprese, “le lascia libere di agire e impone restrizioni ai piccoli produttori e alle culture locali fino a sancirne l’illegalità”. Ancora al momento in cui scriveva (2005) Shiva valutava positivamente la moratoria dell’Unione Europea sui prodotti agricoli e alimentari geneticamente modificati in quanto tutelava il diritto alla sicurezza alimentare. Ma molti prodotti confezionati, ad esempio, non sono soggetti ad obbligo di etichettatura per cui non sappiamo cosa stiamo ingerendo e, dunque, non possiamo scegliere, né fare una spesa consapevole.

Di fatto il fermo imposto dalla UE era l’unico ostacolo alla libera circolazione di alimenti senza controllo provenienti da Stati Uniti e Argentina, tra i maggiori produttori di erbicidi e agricoltura Ogm.
Da qui la pronta reazione di questi colossi agricoli in cerca di nuovi e fruttuosi mercati: il 13 maggio 2003 Stati Uniti, Argentina e Canada hanno impugnato la moratoria UE lamentando una discriminazione nei confronti dei loro prodotti e affermando che non poteva essere applicato il principio di precauzione ai prodotti Ogm.
Non sono in pochi, oggi, a sospettare che la nuova direttiva europea sia un comodo ‘cavallo di Troia’ in favore dell’accordo Commerciale Ttip, Accordo Trans-atlantico per il commercio e gli investimenti con gli Usa (ed escludendi i Paesi del Bric, Brasile, Russia, India, Cina). Un accordo che abbatterebbe molte barriere al momento esistenti, che viene pubblicizzato come un modo per facilitare gli scambi e dunque le opportunità di lavoro, di fatto un modo per le grosse imprese transnazionali per oltrepassare e annullare limiti ambientali e diritti imposti attualmente dalle leggi nei Paesi dell’Unione. Cosa se non un affronto per la sovranità degli Stati?
Pubblico una serie di 20 interrogativi posti nel 2000 dall’Istituto Biologico Italiano in un libretto informativo e divulgativo sugli “Alimenti geneticamente modificati”. Nella serie di interrogativi – che dopo quasi 15 anni rimangono senza serie risposte o azioni che vadano nella direzione dei diritti fondamentali dell’Uomo – anche l’introduzione ad una questione scabrosa, di cui poco si parla e che può dare la misura di quanto la scienza, sottomessa al potere di grosse entità finanziarie e farmaceutiche, abbia aperto scenari a dir poco raccapriccianti riguardanti l’umanizzazione di alcune specie animali compatibili con il trapianto di organi e parti di corpo.
Venti quesiti non risolti:
1-   Come si pensa di far fronte al pericolo che la manipolazione del Dna abbia effetti imprevisti, dovuti al fatto che la maggior parte dei geni di ogni organismo sono del tutto sconosciuti, come pure sono sconosciute le relazioni che intercorrono tra un gene e l’altro?
2-   Come si può evitare che alcune caratteristiche genetiche introdotte artificialmente nelle piante coltivate, come ad esempio la resistenza agli erbicidi o ad alcuni parassiti, non venga trasmessa, come già molto spesso è avvenuto, alle piante selvatiche rendendo queste pericolosamente infestanti?
3-   Come si può evitare che gli insetti ‘utili’ vengano distrutti, come già molto spesso avvenuto, alle piante selvatiche, rendendo queste pericolosamente infestanti?
4-   Come si può garantire che le modificazioni genetiche non scatenino delle caratteristiche di tossicità (come è avvenuto per la soia ibridata con la noce del Brasile e con il triptofano negli Stati Uniti) pericolose per chi assume le sostanze modificate?
5-   Come si pensa, in definitiva, di poter controllare i miliardi di reazioni, quasi tutte sconosciute, che legano le infinite forme di vita, in un equilibrio che si è formato nei millenni e che è in continua evoluzione? Se l’uomo incide comunque in questo equilibrio e porta danni all’ambiente anche con le tecnologie fino ad oggi adoperate, non è questa un’ottima ragione per usare maggiore cautela in un territorio (quello delle manipolazioni genetiche) in cui l’azione può avere un impatto ancora più devastante ed in cui la conoscenza è solo agli albori?
6-   Come si può evitare che la scelta di alcune specie a più alto rendimento e di maggiore interesse economico per chi non solo detiene il brevetto, ma può allo stesso tempo condizionare i mercati globali, porti alla scomparsa delle colture e tradizioni locali (di minore impatto ambientale) e soprattutto ad una rapida riduzione della biodiversità?
7-   Come si può evitare che i paesi in via di sviluppo, ricchi di diversità genetica e privi di tecnologie, non subiscano una nuova forma di colonizzazione da parte dei Paesi detti sviluppati, che imporranno loro i diritti di autore su ogni coltivazione commerciale?
8-   Come si può evitare che i brevetti sulle sequenze geniche e sui tessuti o cellule umane ostacolino un normale progresso scientifico con l’introduzione del segreto industriale nella ricerca?
9-   Come mai in questo settore non ci si è informati sul risultato disastroso che una simile legge ha prodotto negli Stati Uniti? Come si legge sulla rivista scientifica Nature (12/12/96, vo.384, p.500), negli Usa i maggiori istituti di ricerca come lo stesso Nih, non richiederanno mai più brevetti su sequenze geniche o materiale cellulare e condannano la prassi di concederli su scoperte e conoscenze che rappresentano strumenti indispensabili per la ricerca.
Per quale ragione l’Europa dovrebbe ripercorrere una strada già rivelatasi errata altrove?
10 – Se l’industria pensa al benessere del consumatore, per quale ragione essa ha fino ad oggi ostacolato gli sforzi di quest’ultimo di soddisfare il suo diritto ad una chiara etichettatura, che gli conceda la possibilità di scelta dei prodotti da consumare?
11 – Se l’industria vuole soddisfare la necessità di cibo nel mondo, ovvero ‘risolvere il problema della fame’, per quale ragione ha brevettato la tecnologia Terminator, che rende le piante sterili alla seconsa risemina, danneggiando gravemente gli agricoltori dei Paesi poveri?
12 – Se gli organismi modificati geneticamente causano danni alla salute o all’ambiente, chi pagherà i costi di questi danni? La mancanza di una chiara etichettatura rende impossibile risalire ai responsabili e la mancanza di studi scientifici adeguati rende impossibile fare una previsione sulla entità del danno (ragione per cui nessuna compagnia di assicurazione ha mai accettato di firmare una polizza!).
13 – In materia di xenotrapianti, come si può evitare che eventuali virus latenti, non identificabili perché sconosciuti, vengano trasmessi dall’animale ‘donatore’ nell’organismo del ‘trapiantato’ con il rischio di scatenare, attraverso quest’ultimo, una nuova imprevedibile epidemia (come quella dell’Aids) causata dall’adattamento (molto aiutato dagli immunosoppressori impiegati) di uno di questi virus alla specie umana?
14 – Sempre in materia di xenotrapianti, come si può accettare (o evitare) che il trapiantato divenga quella che i suoi chirurghi chiamano una chimera umana, le cui cellule, in tutto l’organismo, sono mescolate con quelle dell’animale donatore?
15 – Se è consentito creare animali transgenici ai fini della ricerca in modo tale che la loro sofferenza o menomazione fisica siano proporzionali ai risultati ad all’utilità medica per l’uomo, con quali criteri potranno essere valutate la sofferenza e le menomazioni fisiche degli animali?
16 – Nel caso di animali umanizzati per la ricerca scientifica o per la donazione di organi con l’introduzione di alcuni geni umani, quale numero massimo di geni si ritiene lecito inserire nell’animale (è facile immaginare che la tendenza sia verso una umanizzazione sempre maggiore per rendere il modello animale sempre più simile all’uomo o l’organo da trapiantare sempre meno soggetto al rigetto) in base ad un normale concetto di rispetto del corpo umano ed in base anche al recente voto dell’Assemblea Generale dell’Onu) (cfr. la domanda successiva)
17 – L’Assemblea Generale dell’Onu ha fatta sua , il 10/12/98, la Dichiarazione sul Genoma Umano dell’Unesco (11/97) per cui il Genoma Umano è patrimonio dell’Umanità e non può essere oggetto di attività commerciali; come si può conciliare questo importante accordo internazionale con una legge che consente i brevetti sulle parti del corpo umano, privatizzandole ed equiparandole ad una merce?
18 – Come si può brevettare, dunque equiparare ad una invenzione, quella che è la scoperta di elemento esistente in natura, di una parte o di un tutto di un essere vivente, che costituisce un elemento del patrimonio genetico tramandato da sempre su questo pianeta? Se anche (ma questo non è il caso dei brevetti sui geni o sulle parti del corpo umano) vi è l’introduzione di una modifica da parte dell’uomo, questo non consente a quest’ultimo di dichiararsi ‘l’inventore’. Come ha detto il giudice Marc Nadon, della Corte Federale canadese nel rifiutare il brevetto all’oncotopo, “…hanno introdotto una modifica nel topo, non hanno mica inventato il topo! Un animale non è materia prima per invenzioni”.
19 – Cui prodest? Cioè: a chi giova? Visto che gli aumenti di produzione, anche quando presenti, sono minimi e che i rischi sono così alti, a chi gioveranno gli Ogm se non  agli azionisti delle industrie biotecnologiche?
20 – Se la diffusione di Ogm dovesse rivelarsi un terribile errore, come si potrà ripulire il pianeta?



[1] Istituto Biologico Italiano, “Alimenti geneticamente modificati”, 2000
[2] Vandana Shiva, “Il bene comune della terra”, p.169, 2005, Giangiacomo Feltrinelli editore, Milano

1 commento:

  1. Parabéns Chiara! Contamos contigo para a luta contra os trangenicos também no Brasil. J. Renato Barcelos, Advogado, Conselheiro da A GAPAN.

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