Il suono dell'universo.

martedì 13 gennaio 2015

"Moro doveva morire".



http://www.giornalettismo.com/archives/923061/aldo-moro-la-storia-in-dieci-foto/aldo-moro-7/
Il rinvenimento dello statista Aldo Moro
Il 16 marzo 1978 lo statista democristiano Aldo Moro viene rapito dalle BR. Dopo 55 giorni il suo cadavere viene rinvenuto nel bagagliaio di una Renault 4 rossa. Per anni è passata l’idea che il Governo e i servizi segreti italiani non conoscessero i nomi dei carcerieri né il luogo in cui fosse detenuto il segretario della DC, fatto che non aveva consentito un’operazione di salvataggio. Molte fondamentali informazioni furono occultate a coloro i quali indagavano. Le indagini coordinate proprio da chi sapeva ed aveva preso la decisione estrema.
A distanza di anni, decenni, la verità sta lentamente prendendo forma grazie alla testimonianza di chi ha deciso di rompere il muro del silenzio, ponendo nuovi interrogativi su uno dei momenti più violenti della storia recente del nostro paese. Sullo sfondo, l'ombra di Gladio, di uno Stato ombra, di personaggi che hanno deciso e organizzato l'interruzione violenta di un naturale percorso politico condannando il Paese a subire le conseguenze di una mancata sovranità popolare, di una democrazia legata e imbavagliata. Una vicenda, quella del rapimento e uccisione dello statista Aldo Moro, che trova ragione in una sorta di cospirazione internazionale, capace di allungare i propri tentacoli nel cuore più profondo dello Stato non disdegnando la complicità della mafia e l'uso di metodi terroristici.
Il Giudice Ferdinando Imposimato
Segue un estratto da “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia”, edizioni Newton Compton. L’autore, Ferdinando Imposimato, il giudice, oggi, in pensione che ha seguito le istruttorie sul caso, ricostruisce gli avvenimenti e il contesto di quei giorni crudeli attraverso le testimonianze di chi ha, finalmente, deciso di parlare. Tra i protagonisti di quelle vicende il brigadiere Giovanni Ladu.

Brigadiere Giovanni Ladu:” Non ho fatto questo passo prima perché avevo avuto, insieme ad altri militari che sanno le mie stesse cose, una specie di consegna del silenzio e del segreto su quanto era avvenuto, e avevamo visto e sentito. (…) ho ancora timore per i miei familiari, ma col passare degli anni ho preso questa decisione.  (…) avevamo un gabbiotto nei pressi dello stabile, dentro c’erano degli attrezzi, un monitor con il quale, tramite la tele camerina posta nella plafoniera del lampione situato di fronte all’edificio al civico 8, controllavamo i movimenti nel la casa-prigione. (…) era un punto di osservazione e base di appoggio per i militari che dovevano intervenire per compiere l’irruzione nella casa-prigione, tra cui non c’ero io. (…) venne attivata una telecamera attraverso la quale vedevamo la facciata dell’appartamento di quello che capimmo essere la prigione di Aldo Moro. (…) eravamo in 40. (…) Il generale che ci impartì gli ordini disse che eravamo stati chiamati a svolgere servizi speciali. (…) Alla nostra base operativa in via Montalcini ci portarono con un piccolo pulmino senza scritte e senza targa militare. (…) Avremmo dovuto vigilare in particolare su una casa in cui era tenuto un ostaggio, un uomo politico che era stato rapito. L’ufficiale non ci disse che si trattava di Aldo Moro, che io non sapevo bene chi fosse. Ma qualcuno di noi che aveva letto e sentito notizie sul suo rapimento cominciò a farsi delle domande e a parlarne con altri (…).Dovevamo fare perlustrazioni esterne in pattuglie di due militari per turno, raccogliere i rifiuti dai bidoni situati all’esterno e all’interno di un cortile del palazzo in cui c’erano l’osteggio e i suoi carcerieri. Li portavamo sigillati alla caserma dei carabinieri. Abbiamo prelevato i sacchi di immondizia fini al 7 maggio, il giorno prima dell’ordine di lasciare il posto e tornare alla base di partenza. (…) Il controllo dell’appartamento con l’ostaggio avveniva sia mediante piccole telecamere sia direttamente”.
Esisteva anche un piano di evacuazione degli inquilini che vivevano nel palazzo in previsione di un blitz per liberare Moro progettato per il 7 maggio 1978.
“Il giorno prima che noi andassimo via (l’8 maggio 1978) fu posto di notte un cartello di divieto di sosta con rimozione forzata su via Montalcini (…) comprendemmo che si stava preparando un piano per la liberazione dell’eccellente ostaggio, mentre nelle  zone adiacenti fu montata una tenda da campo della Croce Rossa, non molto grande. Fu montata nella notte tra i 7 e l’8 maggio, e cioè il giorno prima della nostra smobilitazione. Quando ce ne andammo noi fu portata via anche la tenda. (…) Alla vigilia dell’irruzione ci comunicarono che dovevamo preparare i nostri bagagli perché dovevamo abbandonare la missione. (…) La nostra impressione fu che Moro doveva morire. (…) Era arrivata, ci venne detto, una telefonata dal Ministero dell’Interno che aveva imposto di non intervenire. (…) Esistevano quei microfoni ad ampio raggio posti nell’appartamento superiore al luogo di detenzione dell’onorevole ai quali furono collegati dei registratori a nastro. Mi ricordo che queste due bobine le trovai io stesso dentro uno dei due bidoni della spazzatura che noi svuotavamo e el consegnai personalmente al referente dei carabinieri che era lì con noi. (…) Che fine hanno fatto le due bobine che trovai e che consegnai come mi fu ordinato? Sono state ascoltate? (…) Un capitano dell’esercito ad Avellino mi intimò:”Dimenticati di quello che hai fatto in questi quindici giorni”.