Il suono dell'universo.

sabato 1 dicembre 2012

Messico: uccisa attivista ambientalista



Juventina Villa Mojica

Di Olga R. Rodriguez, 29 novembre 2012

Traduzione di Chiara Madaro

 

MEXICO CITY – Una banda armata ha ucciso un’attivista ambientale che aveva ricevuto minacce di morte per essersi opposta alle gang dedite al narcotraffico. Al momento dell’imboscata si trovava nel sud del Messico ed era in compagnia di poliziotti armati.

Juventina Villa Mojica aveva già subito l’uccisione del marito e due figli lo scorso anno. Ma mercoledì una pioggia di proiettili ha investito anche lei e il figlio di dieci anni in una zona montuosa dello Stato.  La figlioletta di 7 anni è invece rimasta illesa malgrado l’attacco abbia visto il protagonismo di ben 30 assalitori, dice Manuel Olivares, attivista dei diritti umani che conosceva il caso Villa.

Villa e suo marito, Ruben Santana Alonso, aveva guidato per più di 20 anni un gruppo di agricoltori nel villaggio di La Laguna nel comune di Coyuca de Catalan. L’area è sotto il controllo del cartello di narcotrafficanti che stanno lavorando alla diffusione di marijuana e papavero da oppio nei campi.

‘E’ una zona vergine con aree forestali ricche  ma gli interessi dei narcotrafficanti stanno radendo al suolo gli alberi in modo che le foreste, una volta disboscate, possano lasciare posto a campi di droga’ ha detto Olivares.

Le bande del narcotraffico hanno iniziato a prendere di mira Villa, suo marito e la sua famiglia dopo che l’attivista aveva impedito il taglio degli alberi in prossimità del loro villaggio.

Villa e i suoi figli si trovavano in un fuoristrada ed erano ormai vicini alla cima di una montagna dove avrebbe potuto ricevere un segnale per il cellulare in quanto nel villaggio non ci sono telefoni. Ma sono caduti in un’imboscata nonostante la presenza della scorta di dieci ufficiali di polizia, ha detto il Pubblico Ministero in un comunicato. Cinque ufficiali si trovavano in una macchina della polizia davanti a quella di Villa e gli altri cinque seguivano a piedi. Gli assalitori hanno esploso colpi dalle loro armi quando Villa si è avvicinata ai poliziotti a piedi. I procuratori non hanno detto se gli ufficiali hanno risposto al fuoco nemico.

 

foto:  http://www.vaterland.li/ ; http://climate-connections.org/

martedì 27 novembre 2012

Italia: paradiso fiscale dei petrolieri.


Di Chiara Madaro

l'articolo è uscito su:

Sapete che se apriste una srl con capitale sociale pari a 10.000€ sareste in grado di ricevere l’approvazione del Governo per l’esplorazione petrolifera?

E’ quello che è successo alla fortunata società San Leon, con sede in  un inanimato appartamento di uno scalcinato palazzo che si trova a Monteroni, paese della provincia di Lecce dalla cattiva fama, purtroppo.

La notizia è uscita nel 2010 in seguito ad un’interrogazione parlamentare promossa da Gabriele Cimadoro, IdV. La San Leon già nel 2008 presentò al Ministero dello sviluppo economico tre domande di ricerca in mare di idrocarburi al largo della Sicilia, in prossimità della Riserva marina delle isole Egadi per un’area totale di circa 1000Kmq. Sebbene le aree su cui insiste la richiesta di perforazione abbiano un’economia basata su pesca e turismo, il CIRM, Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie e il Comitato tecnico per gli idrocarburi e le geometrie hanno dato parere favorevole al progetto. “Dati gli elevati rischi connessi agli impianti off-shore, di cui si ha un tragico monito negli avvenimenti nel golfo del Messico – dice Cimadoro - appare agli interroganti irrisorio un capitale sociale di appena 10.000€ da parte della società concessionaria (…) risultando una società inattiva”. Obiezione legittima. Ciononostante la San Leon ha all’attivo 5 permessi in Italia di cui due on shore nella Pianura Padana e tre off shore al largo della Sicilia, appunto.

Appare, poi, singolare che questa piccola e povera società abbia avuto successo su un’area fortemente appetibile da altri petrolieri tra cui due importanti aziende statunitensi.

Ma ad oggi il problema è ancora in piedi e il 17 ottobre 2012  l’On. Cimadoro torna  a ricordare che la Commissione ambiente del Parlamento europeo ha approvato una norma per la quale: “Le compagnie petrolifere devono essere ritenute responsabili dei costi e di tutti gli eventuali danni ambientali ed avere i mezzi per pagarli, altrimenti non potranno ricevere le licenze per trivellare nelle acque europee”. Un’inquietudine del tutto giustificata soprattutto se si pensa alle concessioni in sanatoria che il Ministro per lo sviluppo economico ha recentemente autorizzato rispetto a trivellazioni che nei nostri mari avranno luogo a meno di 5 miglia dalla costa permettendo sia la creazione di un rischio ambientale da parte di soggetti che non hanno i requisiti per trivellare sia una chiara infrazione delle disposizioni europee.

“Ma i petrolieri – si ricorda in Parlamento – (…)hanno già fatto sapere di essere pronti a estrarre tutto il nostro oro nero, investendo nell’arco dei prossimi quattro anni 12 miliardi di euro per nuovi impianti produttivi in tutta Italia. Un fatto preoccupante se si pensa che il settore pubblico/privato ha visto emergere numerosi casi di inquinamento delle aste da parte dei soggetti non aventi diritto, sia dal punto di vista patrimoniale, sia dal punto di vista tecnico, attraverso (…) un’alterazione se non la stessa partecipazione diretta delle cosche alle gare di concessione pubbliche”. D’altra parte anche secondo uno studio della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, le compagnie petrolifere non si fanno scrupolo di giocare con i delicati equilibri internazionali per ottenere condizioni commerciali più vantaggiose da parte dei governi ospiti.

Preoccupante perché da nord a sud le richieste di prospezione e trivellazione per gas e petrolio aumentano senza pari negli ultimi anni. Al 2012 in Italia sono presenti 91 permessi  in terraferma e 24 off shore. Il primato spetta all’Emilia Romagna con ben 39 permessi tutti on shore. Preoccupante perché, senza ombra di dubbio, queste attività comportano perdite di materiale petrolchimico in ogni parte della ‘filiera’: dalla raccolta alla raffinazione al trasporto. Preoccupante perché queste perdite hanno effetti deleteri sulla salute dei viventi e da questi danni non si torna indietro.

Lo dimostra uno studio condotto nel 2010 dai ricercatori Maria Rita D’Orsogna, e Thomas Chou presso il Dipartimento di Scienze Matematiche della California State University at Northridge, Los Angeles. La ricerca ricorda che in un Rapporto ufficiale delle Nazioni Unite viene fortemente raccomandato di evitare ogni tipo di contatto con H2S, idrogeno solforato, a causa dei gravi effetti tossici che derivano dall’esposizione a questa sostanza.

L’idrogeno solforato è, infatti, una componente degli idrocarburi paragonabile al cianuro ed esposizioni ad alte dosi di questa componente possono provocare anche morte istantanea. Ma anche a basse dosi non fa sconti. In particolare i risultati della ricerca evidenziano che fra gli effetti non letali, i danni sono di natura neurologica e polmonare. Fra i danni di natura polmonare i sintomi ricorrenti sono edema polmonare, rigurgiti di sangue, tosse, dolori al petto, difficoltà di respirazione. Ma ancor più preoccupanti sono i disturbi neurologici: declino intellettuale, mancanza di concentrazione, difetti della memoria e dell’apprendimento, elevati livelli di irritabilità, stati di depressione, confusione, perdita di appetito, mal di testa, scarsa memoria, svenimento, ansia, affaticamento.  Fatti ricordati al Governo in occasione di un’interrogazione al Senato presentata nel novembre 2011 dall’On. Poli Bortone che rammenta: ”In particolare è stato dimostrato che in condizioni di stress recede il livello di altruismo e di cooperazione tra gli individui e si registra un incremento delle condotte aggressive”.

Sintomi di disturbi irreversibili che entrano come un dato di fatto nella nostra società.

Negli Stati Uniti la ricerca indaga da tempo sui costi sociali di nuove generazioni nate con capacità intellettive limitate. Si tratta di realtà dilaganti e che interessano soprattutto le giovani generazioni nate e cresciute nell’era del petrolio, una sostanza che già ci sta presentando il conto. Proviamo anche noi nel nostro piccolo a pensare a quanti insegnanti di sostegno circolano nelle scuole oggi e quanti 15-20 anni fa. Molti di più. E sono anche pochi rispetto alle effettive esigenze. Casualità? La scienza non crede al caso.

Secondo D’Orsogna e Chou la possibilità di contaminazione non è una possibilità ma una certezza. “La presenza di zolfo – di cui il petrolio adriatico è ricco (ndr) – rende il greggio fortemente corrosivo e tende a danneggiare gli oleodotti” e quindi “tutte le operazioni di trattamento dei prodotti petroliferi, a qualsiasi livello, hanno la possibilità di emettere quantità più o meno abbondanti di idrogeno solforato sia sotto forma di disastri accidentali, sia sottoforma di continuo rilascio all’ambiente durante le fasi di estrazione, stoccaggio, lavorazione e trasporto del petrolio”. Questo studio dipinge un quadro completo di ciò che effettivamente succede al di là delle assicurazioni che arrivano dalle compagnie petrolifere: dalla raccolta degli idrocarburi con l’inquinamento della falda acquifera da cui ci approvvigioniamo per bere, lavarci e cucinare, alla necessaria lavorazione sul posto con la costruzione di grandi strutture dove il processo di bruciamento per l’idro-desulfurizzazione è visibile all’esterno sotto forma di fiamma perenne, al trasporto attraverso navi che usano un combustibile più economico di quello dei mezzi di locomozione di massa ma più inquinante ai frequenti casi di blowout, cioè di esplosione dei pozzi. Tutto questo rende atmosfera, acque e terreno dei luoghi in cui si raccoglie petrolio ben 300 volte più contaminate delle normali città. Come è successo a Trecate, in provincia di Novara, nel 1994 quando il cattivo funzionamento delle valvole di sicurezza di un impianto petrolchimico provocò un’esplosione contaminando un’area pari a 100Km quadrati. Ad oggi la zona non è coltivabile e chi vive nei paesi circostanti è esposto a livelli di H2N superiori alla norma.

Nella sola Lombardia oggi si registrano ben 17 pozzi attivi, 14 concessioni in avvio e 11 richieste in esame.

Si sa che il nostro petrolio sia di scarsa qualità in quanto non si trova allo stato puro ma contiene forti concentrazioni di zolfo e altri minerali e quindi il processo di estrazione e raffinazione è estremamente costoso. Tuttavia negli ultimi anni le richieste di raccolta di petrolio e gas aumentano in maniera esponenziale su tutto il territorio italiano. Perché? Il nostro paese rappresenta il paradiso per i petrolieri: un paradiso fiscale. Lo dice un Dossier del Wwf che dice: “(…)estrarre idrocarburi nel nostro Paese è vantaggioso solo perché esistono meccanismi che riducono a nulla il rischio d’impresa, mettendo però ad alto rischio l’ambiente. Ad esempio, le prime 20 mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma, come le prime 50 mila tonnellate di petrolio estratte in mare, i primi 25 milioni di metri cubi di gas in terra e i primi 80 milioni di metri cubi in mare sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato. Ma non è finita qui. Le aliquote (royalties) sul prodotto estratto sono di gran lunga le più basse al mondo e sulle 59 società operanti in Italia nel 2010 solo 5 le pagavano (ENI, Shell, Edison, Gas Plus Italiana ed ENI/Mediterranea idrocarburi)”.

E dire che per convincere le popolazioni locali della convenienza di ospitare una centrale, le compagnie non parlano d’altro che di royalty. Difficile non pensare ad un inganno a favore di pochi. Un inganno ben esposto in Senato da Poli Bortone che, in relazione ad una serie di richieste off shore in un’area protetta al largo della costa pugliese dice: ”Sul suo sito ufficiale la Northern Petroleum afferma di avere come missione quella di acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti”.

E parla anche del tentativo di raggirare l'art. 6, comma 2, della legge n. 9 del 1991 secondo la quale non è possibile concedere prospezioni su superfici estese oltre i 750 Km quadrati. Un tentativo riuscito dato che il Ministero ha rilasciato una serie di permessi ricadenti nella stessa area per una superficie totale di oltre 6.000 Km quadrati. Lo rileva il TAR di Bari a proposito della Northern Petroleum che “ha illegittimamente scorporato il progetto in più lotti su aree di mare (…) adiacenti, così impedendo la doverosa valutazione unitaria di impatto ambientale. (…)l'obiettivo della normativa – afferma l’On. Poli Bortone - non può essere aggirato e dichiara l'illegittimità dei provvedimenti di VIA lì dove prevedono il rilascio di più permessi di ricerca alla medesima società per ambiti marini adiacenti, a fronte del divieto, stabilito (…) dalla legge”. Non può essere possibile tacere nemmeno il fatto che nei fondali dell’Adriatico meridionale giacciono circa 20 mila bombe chimiche. Si tratta in maggioranza di bombe all’iprite affondate nel 1943 insieme alla nave statunitense ‘John Harvey’ ma non mancano ordigni riconducibili alla guerra dei Balcani. Per non parlare delle navi - 25 registrate dai Lloyd’s di Londra, 40 secondo varie Procure. Navi affondate su cui grava il sospetto del traffico di rifiuti pericolosi. L’uso degli air gun provocherebbe un disastro. Intanto il 9 novembre 2012 a Trieste è stata convocata una conferenza internazionale delle regioni adriatiche allo scopo di valutare le potenzialità di valorizzazione energetica del mare ed eventualmente pianificarne l'attuazione operativa. Gli esiti dell’appuntamento costringeranno il Governo a rivedere i permessi già rilasciati e la normativa.

venerdì 9 novembre 2012

Petrolio in Adriatico: poca trasparenza al meeting di Venezia

Chiara Madaro


Ministro dell'Ambiente Clini
L' "Operazione trasparenza" del Consiglio regionale del Veneto che ha sede a Palazzo Ferro-Fini non ha avuto successo oggi a Venezia. Nel corso del mattino, infatti, ha avuto luogo un meeting internazionale a cui hanno preso parte il Presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, uno dei più strenui avversari di un economia basata sul petrolio, il Ministro dell'Ambiente Clini e i rappresentanti di tutte le regioni e gli Stati non italiani che si affacciano sull'Adriatico.
Curioso che il sito della Regione Veneto dia in genere l'opportunità di seguire in diretta i meeting in agenda via web. Ma questa mattina, chi si è collegato, ha trovato la sgradita sorpresa di trovare un fermo immagine della Sala Consiliare. Al centralino hanno affermato che in data odierna non era fissato  alcun appuntamento. All'obiezione del fatto che sul sito il meeting di oggi fosse la notizia di primo piano, ha risposto la Sala Stampa che, attraverso due ulteriori passaggi, ha prima confermato la versione del centralinista per poi dire che si, in effetti la seduta era in corso ma pochi giorni fa è arrivata la decisione di non mandarla in onda. Verranno comunque pubblicati i video.

lunedì 29 ottobre 2012

Petrolio: in Italia leggi aggirate dalle compagnie petrolifere




http://www.ilcambiamento.it/territorio/rilancio_trivellazioni_petrolifere_italia.html




















Segnalo il testo di un'interrogazione al Senato in data 11.11.2011 avente in oggetto l'aggiramento della legge esistente in materia di permessi di perforazioni off shore da parte di compagnie petrolifere. Oggetto dell'interrogazione: scorporamento di permessi in maniera che non appaia evidente che l'area oggetto di interesse si estende per oltre 6000 Kmq (a fronte dei 750Kmq concessi dalla legge), Richiesta di perforazione su fondali su cui giacciono esplosivi all'iprite e navi contenenti materiale pericoloso, mancanza di chiarezza su quando e come si intenda agire. Affermazioni allarmanti anche sulla mission della compagnia petrolifera richiedente che dichiara di voler 'acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti'. di Chiara Madaro
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA











Atto Senato

Interrogazione a risposta scritta 4 - 06237 presentata da ADRIANA POLI BORTONE
venerdì 11 novembre 2011, seduta n.636

POLI BORTONE - Ai Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico - Premesso che:

la ditta Northern Petroleum, società di diritto inglese, quotata al mercato AIM di Londra sotto la sigla NOP, il 28 luglio scorso, ha annunciato di aver ottenuto le concessioni per ispezioni geosismiche per ricerca idrocarburi nel basso Adriatico secondo i progetti denominati "d39 FR-NP" e "d40 FR-NP";

il direttore resposabile della Northern Petroleum, Derek Musgrove, sostiene che l'esplorazione dell'Adriatico merdionale è una priorità per la Northern Petroleum e che la ditta intende procedere velocemente con l'air gun in modo da identificare i siti da trivellare già all'inizio del 2012;

sul suo sito ufficiale la Northern Petroleum afferma di avere come missione quella di acquisire siti esplorativi e produttivi a basso costo d'ingresso, allo scopo di aumentarne il valore per i propri azionisti;

il Tar di Bari, con la sentenza n. 2602/2010 ha annullato il decreto di VIA n. 1349, mentre tutti gli altri decreti sono stati cautelarmente sospesi dal Tar di Lecce con ordinanza n. 130/2010 e entrambe le pronunce hanno ravvisato (tra l'altro) l'illegittimità di un frazionamento della procedura di valutazione d'impatto ambientale (VIA) tra i vari permessi di ricerca pur a fronte dell'unicità del programma di ricerca. In particolare, il Tar di Bari ha rilevato che la Northern Petroleum ha illegittimamente scorporato il progetto in più lotti su aree di mare che anche parte resistente rappresentata e difesa dalla Avvocatura dello Stato ammette essere adiacenti, così impedendo la doverosa valutazione unitaria di impatto ambientale. Richiamando giurisprudenza nazionale e comunitaria in materia di VIA, il Tribunale ha evidenziato che l'obiettivo della normativa non può essere aggirato tramite un frazionamento dei progetti e che la mancata presa in considerazione del loro effetto cumulativo non deve avere il risultato pratico di sottrarli nel loro insieme all'obbligo di valutazione mentre, presi insieme, essi possono avere un notevole impatto ambientale ai sensi dell'art. 2, n. 1, della direttiva 85/337 (si veda, in tal senso, sentenza 21 settembre 1999, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-5901, punto 76). Peraltro, la sentenza stigmatizza e dichiara l'illegittimità dei provvedimenti di VIA lì dove prevedono il rilascio di più permessi di ricerca alla medesima società per ambiti marini adiacenti, a fronte del divieto, stabilito dall'art. 6, comma 2, della legge n. 9 del 1991, di concedere superfici estese oltre 750 chilometri quadrati. Frazionando l'unico programma in più tronconi e facendosi rilasciare più permessi di ricerca per una superficie di oltre 6.000 chilometri quadrati, il Ministero ha violato la suddetta norma. L'artificioso e non consentito frazionamento della procedura di VIA in più tronconi costituisce, come detto, non soltanto un vizio formale ma, soprattutto, un insormontabile ostacolo per l'unitaria valutazione del progetto di ricerca;

la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 7 ottobre 1996, n. 15208, ha precisato che l'esigenza della valutazione complessiva della globalità degli interventi risponde alla logica intrinseca della valutazione di impatto ambientale, atteso che questa deve prendere in considerazione, oltre a elementi di incidenza propri di ogni singolo segmento dell'opera, anche le interazioni degli impatti indotte dall'opera complessiva sul sistema ambientale, che non potrebbero essere apprezzate nella loro completezza se non con riguardo anche agli interventi che, ancorché al momento non ne sia prospettata la realizzazione, siano posti in essere (o sia inevitabile che siano posti in essere) per garantire la piena funzionalità dell'opera stessa e che manca ad oggi uno studio unitario di impatto ambientale sull'intera area, in relazione all'unitario programma di ricerca;

è necessario sottolineare che le diverse istanze sono assolutamente identiche tra loro e confezionate con la tecnica del copia-incolla, testimoniata dalla presenza di refusi ed errori di "compilazione" che confondono le diverse istanze presentate;

è vero che gli studi di impatto ambientale (SIA) presentati dalla Northern Petroleum si riferiscono soltanto alla "prima fase", cioè quella delle prospezioni preliminari, ma è evidente che tale prima fase è propedeutica alla successiva attività di vera e propria ricerca petrolifera ed è altrettanto evidente che non ha alcun senso consentire l'esecuzione della "prima fase" se non si valuta, già in questa sede, l'ammissibilità della "seconda fase". Diversamente, la prima fase rappresenterebbe uno spreco di risorse e un inutile rischio ambientale;

la società richiedente ha escluso interazioni significative a seguito della molteplicità dei permessi di ricerca sulla base unicamente della circostanza che il programma verrà effettuato con l'utilizzo di un'unica nave-sorgente acustica, eliminando in tal modo ogni possibilità di sovrapposizione di effetti legati dalla generazione di più segnali acustici e contemporaneamente presenti in una medesima area. Sta di fatto, però, che gli effetti di sommatoria di più prospezioni in più ambiti di ricerca contigui non vanno valutati soltanto da un punto di vista cronologico (escludendo, cioè, qualunque effetto di sommatoria soltanto perché le singole campagne di ricerca si svolgono in periodi differenti), ma a seguito di una più ampia e complessa valutazione ambientale che tenga conto degli effetti unitari sul medesimo ambiente marino prodotte da una campagna di ricerca la cui durata viene stimata in circa 50 giorni;

la Northern Petroleum nei documenti sottoposti omette di indicare il periodo dell'anno nel quale la società stessa intende svolgere la campagna di ricerca. La tecnologia utilizzata, infatti, influenza con certezza il comportamento e l'attività vitale della flora e della fauna presenti nella zona di mare interessata e, in particolare, incide sui grandi cetacei, le cui rotte attraversano il canale d'Otranto. Non è affatto indifferente, in relazione a tale componente bio-marina, lo svolgimento in un periodo dell'anno piuttosto che in un altro della campagna;

le ricerche di idrocarburi, se consentite, saranno svolte mediante l'utilizzo di air gun, ovvero cannoni pneumatici che sparano onde acustiche sui fondali per valutare la risposta sismica;

come riferisce l'ingegner Giuseppe Deleonibus, ingegnere ambientale specializzato in tutela ambientale e controllo dell'inquinamento, gli air gun si basano su fenomeni di riflessione e rifrazione delle onde elastiche generate da una sorgente artificiale, la cui velocità di propagazione dipende dal tipo di roccia, ed è variabile tra 1.500 e 7.000 metri al secondo (tra 5.400 e 25.200 chilometri orari) e che tale metodica di ricerca è ufficialmente annoverata tra le forme riconosciute di inquinamento dalla proposta di direttiva n. 2006/16976 recante gli indirizzi della strategia comunitaria per la difesa del mare;

il suono viaggia nell'acqua circa quattro volte più in fretta che nell'aria (la velocità di propagazione del suono in aria è di 343 metri al secondo, in acqua di circa 1.483 metri al secondo), per cui le onde hanno la potenzialità di diffondersi su raggi molto elevati, anche di 100 chilometri e a ridosso dell'air gun si possono misurare picchi di pressione dell'ordine di 230 dB (a mero paragone, un'esplosione nucleare in mare ha un valore di 300-310 decibel);

i rumori di origine antropica possono avere effetti sulla vita degli organismi marini acquatici; le specie interessate non sono solo i mammiferi marini, soggetti comunque maggiormente sensibili, ma anche pesci, tartarughe marine e invertebrati marini. In letteratura vengono riportati alcuni dei potenziali effetti legati ad esposizioni prolungate nel tempo a suoni generati dalle emissioni acustiche: cambiamenti nel comportamento, elevato livello di stress, indebolimento del sistema immunitario, allontanamento dall'habitat, temporanea o permanente perdita dell'udito, morte o danneggiamento delle larve in pesci e invertebrati marini. Nel caso delle perturbazioni acustiche generate dagli air gun, alcuni studi riportano una diminuzione delle catture di pesci anche dopo alcuni giorni dal termine delle indagini. Gli studi del Norwegian institute of marine research hanno messo in evidenza una diminuzione delle catture di pescato fino al 50 per cento in un'area distante fino a 2.000 metri dalla sorgente durante l'utilizzo di air gun;

agli effetti degli air gun vanno sommati quelli dovuti alla presenza, sui fondali del basso Adriatico, di 20.000 bombe chimiche (come risulta da un'interrogazione parlamentare al Ministro dell'ambiente del 22 settembre 2004 del senatore Franco Danieli). Il Ministro pro tempore ha confermato, nella sua risposta del 24 novembre 2005, che l'ICRAM, l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare, ha rilevato la mappa dei siti di rilascio bombe nel Basso Adriatico dove si ritiene sino presenti almeno 20.000 bombe chimiche, delle quali circa 15.000 tutte all'iprite, si pensa siano parte del carico della nave statunitense "John Harvey", affondata nell'Adriatico nel 1943; il resto delle bombe sono il frutto della guerra nei Balcani, durante le quali furono individuate alcune aree marine per lo sganciamento dagli aerei di ordigni inesplosi. Secondo il senatore Danieli nei nostri fondali ci sono bombe all'iprite, al fosgene, disfogene, adamsite, acido cianidrico, bombe a grappolo del tipo blu27, proiettili all'uranio impoverito;

il basso Adriatico è stato utilizzato fino agli anni '70 per lo smaltimento di munizionamento militare obsoleto e vi sono stati affondati residuati bellici provenienti dalla bonifica dei porti pugliesi e da depositi e stabilimenti di produzione, assemblaggio e sconfezionamento di ordigni. Va anche sottolineato come tali ordigni siano dispersi in un'area piuttosto ampia, che si estende dai fondali delle aree portuali fino a tratti di mare a diversa distanza dalla riva, anche per la pratica degli operatori di riaffondare in ambito portuale i residui bellici accidentalmente salpati;

secondo i Lloyd's di Londra (Lloyd's register of shipping) nel Mediterraneo sono "affondate" 25 navi che necessitano di rigorosi approfondimenti di indagine. Molteplici sono le "stranezze" dei naufragi e appare fondato il sospetto di traffici di rifiuti pericolosi. Secondo varie Procure, le navi "naufragate" sarebbero 40;

lungo le coste della Puglia ci sono 4 relitti, alcuni di essi tutt'altro che "in fondo al mar". Si tratta della "Eden V" arenatasi a Lesina (Foggia) nel 1988, alla quale l'inchiesta di "RaiNews24" ha dedicato una puntata e dietro la quale si nascondono inquietanti traffici illeciti. Nel 2007 incominciarono i lavori di smantellamento, poi sospesi. La nave "Alessandro I", affondata nel 1991 al largo di Molfetta (Bari), che trasportava 3.550 tonnellate di sostanze tossiche (dicloroetano e acrilonitrile) prodotte dall'Enichem di Gela. Il cargo turco "Gulten Islamoglu" andò a fondo nelle acque di Monopoli (Bari), nel luglio del 1994. Pare che trasportasse ferro. La nave "Lira" affondò il 25 settembre 1997 a 500 metri dal porto di Gallipoli (Lecce), nel quale doveva attraccare, il suo carico era sconosciuto;

nei SIA dei progetti presentati dalla Northern Petroleum non si sono valutati gli effetti sinergici e cumulativi riferiti all'uso di air gun né è stata (o sarà) condotta un'indagine preventiva dell'area di prospezione che potrebbe essere interessata da affondamenti di navi contenenti rifiuti pericolosi e radioisotopi. Nota è infatti, come spiega l'ingegner Deleonibus, la possibilità di innesco di reazioni piezonucleari indotte da onde acustiche su liquidi contenenti radioisotopi, attraverso il fenomeno della sono-luminescenza;

la Northern Petroleum sottovaluta abbondantemente che la zona in cui intende cercare idrocarburi è nelle strette vicinanze di 10 siti di importanza comunitaria/zone protezione speciale, un'area marina protetta, una riserva naturale dello Stato, aree marine dove sono presenti nursery di nasello, triglia di fango e gambero bianco, una zona di tutela biologica (ZTB), 7 impianti di acquacoltura, fortemente voluti dalla popolazione. In particolare quasi tutti questi siti sono inseriti nella rete europea "Natura 2000" e sono considerati di grande valore in quanto habitat naturali di eccezionali esemplari di fauna e flora ospitati;

la descrizione dei tanti siti di interesse comunitario è stata oggetto di un copia-incolla tal quale da siti Internet non citati, senza una discussione appropriata e approfondita relativamente alle conseguenze che le attività della Northern Petroleum avranno sui siti in questione;

la Northern Petroleum non prende in considerazione che l'articolo 11 della legge quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991, n. 394, vieta l'apertura e l'esercizio di cave, di miniere e di discariche, nonché l'asportazione di minerali nelle zone interessate, inclusi gli oli minerali e petroliferi per la loro dannosità;

nel dicembre 2009, un branco di sette capodogli (Physeter macrocephalus, Linnæus 1758) maschi ha trovato la morte lungo la costa adriatica della Puglia. Questa è la sesta moria dal 1555 in questo bacino, il più antico esempio conosciuto risale al 1584. I capodogli sono considerati vaganti o assenti nelle acque circostanti il luogo dello spiaggiamento. Su tre dei sette capodogli sono state eseguite autopsie complete, svolgendo campiomenti istopatologici, virologici, batteriologici, di parassitologia e lo screening delle vene in cerca di emboli di gas. Inoltre, campionamenti per la determinazione dell'età, studi genetici, la valutazione di contenuto gastrico, isotopi stabili e tossicologia sono stati presi da tutti e sette i capodogli. Tra le cause di morte non è stata esclusa la "gas and fat embolic syndrome", associata con l'esposizione diretta ad air gun;

a quanto risulta all'interrogante, dai documenti in esame appare evidente come si cerchi di spostare l'attenzione sulle tecniche di ispezione sismica. Il terzo punto dei progetti, che è invece quello più impattante per il litorale perché relativo all'installazione di pozzi esplorativi, e possibilmente permanenti, viene trattato in maniera del tutto e assolutamente secondaria, superficiale e senza alcun profilo di indagine e di studio valutativo ai fini della VIA. Sebbene se ne richieda l'autorizzazione infatti, di questi pozzi non se ne indica collocazione, non si illustrano le composizioni dei fanghi perforanti che verranno utilizzati, quanti ne verranno prodotti, non si indica esattamente come e dove questi ultimi verranno smaltiti. Non si parla delle conseguenze di possibili scoppi sul litorale, né di come la presenza di eventuali petroliere andranno a interferire con le attività turistiche e naturalistiche della zona. Non vengono menzionati effetti reali sulla pesca, sulla stabilità dei fondali marini e sull'inquinamento delle acque. Non sono incluse simulazioni sulla diffusione degli inquinanti né in aria né in acqua e sulla possibilità di cedimenti dei fondali marini;

uno studio sugli aspetti scientifici dell'inquinamento marino condotto dal gruppo Gesamp, un consorzio di esperti, creato e gestito in collaborazione con l'Unesco, la Fao, le Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale della sanità, stima che un tipico pozzo esplorativo scarichi fra le 30 e le 120 tonnellate di sostanze tossiche durante l'arco della sua breve vita, intenzionalmente o accidentalmente. La letteratura petrolifera mondiale quantifica le perdite in mare, in condizioni normali, in circa 90.000 metri cubi nell'arco della vita media di un pozzo petrolifero. Addirittura il Governo norvegese dal suo sito ufficiale afferma che "Oil and gas production generate large emissions of pollutants to air, water and the seabed";

secondo uno studio commissionato dall'Ente nazionale idrocarburi, i bacini del centro e del sud dell'Adriatico sono caratterizzati da problemi di subsidenza. Più nello specifico si afferma che i bacini del centro e del sud dell'Adriatico formatisi durante i periodi del Neogene e del Quaternario sono entrambi caratterizzati da forte subsidenza nelle loro parti centrali, che gradualmente diminuiscono verso i confini a sud-ovest ed a nord-est. I bacini del centro e del sud dell'Adriatico formano sinclini bi-crostali con la subsidenza concentrata nelle loro parti centrali;

vari studi hanno dimostrato che le perdite delle piattaforme petrolifere possono avere effetti dannosi sulla sopravivenza di alcune specie animali e che i sedimenti delle piattaforme possono subentrare nella catena alimentare anche per un raggio di 10 chilometri dal punto di emissione. Per di più la collocazione permanente di strutture metalliche, cementificate e tubature nel mare possono alterare gli habitat e equilibri marini. Studi scientifici indipendenti mostrano che i fondali attorno alle piattaforme mostrano alti livelli di mercurio e piombo. In Alaska è stato dimostrato come anche piccolissime concentrazioni di idrocarburi normalmente dispersi nel mare abbiano causato la mutagenesi delle uova di salmone. Il nocciolo della questione è che sebbene gli scarti siano considerati trascurabili secondo i parametri dell'industria petrolifera, non lo sono per le specie marine piccole o allo stato embrionico, che sono alla base del ciclo alimentare marino e che fungono da preda per pesci più grandi e per l'uomo;

uno degli studi più completi sulla relazione tra piattaforme petrolifere e tossicità dei pesci fu condotto dal Governo statunitense al largo delle coste dell'Alabama, nel rapporto Goomex; si concluse che a causa dei rilasci di materiale di scarto dalle piattaforme petrolifere le concentrazioni di mercurio nei pesci erano di circa 25 volte superiori alla norma. Il campione fu di 700 specie marine e tutte mostrarono livelli preoccupanti di contaminazione. Queste analisi portarono al divieto di consumo di alcune specie ittiche. Successivamente furono riscontrate nella popolazione locale livelli tossici di mercurio nel sangue. A tutt'oggi è vietato il consumo di pesce spada, sgombri e carne di squalo;

la Regione Puglia ha ormai focalizzato nel settore di sostegno al turismo un canale per esercitare quella pressione che sembra stia dando soddisfazione soprattutto alle iniziative imprenditoriali giovanili e femminili, che in questa risorsa hanno ravvisato la leva per innalzare la qualità dei prodotti autoctoni, e di conseguenza ricavarsi quella nicchia per ovviare alla crisi economica destabilizzante che sta attanagliando la regione e l'intero Paese;

l'economia turistica pugliese è tra le poche in Italia a poter contare sulla forte connotazione e sulla ricchezza dell'identità del territorio come fattori propulsivi di crescita nel lungo periodo;

nell'agosto 2010 la Puglia è stata in testa alle mete preferite dagli italiani con oltre 1.700.000 visitatori, con punte di 300.000 ad Otranto e 200.000 a Gallipoli, secondo i dati dell'Azienda di promozione turistica di Lecce e dell'Osservatorio nazionale sul turismo;

ai progetti manca una visione globale di quello che la costa pugliese intende essere per i suoi abitanti, per il suo turismo, per le aspirazioni del suo popolo e dietro le quali ci sono anni di investimenti dei cittadini, leggi regionali per la difesa dell'ambiente e istituzioni di riserve, parchi e aree protette, in terra e in mare;

la stragrande maggioranza dei cittadini pugliesi, inclusi i rappresentanti del mondo politico, è fortemente contraria alla presenza di infrastrutture petrolifere nei propri litorali, come testimoniano le ripetute manifestazioni e prese di posizione di cittadini, pescatori, commercianti, operatori turistici, sindaci, viticoltori e rappresentanti del mondo accademico ed ecclesiale;

a livello fisiologico lo stress ambientale influisce sull'attivazione del sistema nervoso autonomo (aumento della pressione sanguigna, della conduttanza cutanea, della frequenza respiratoria, della tensione muscolare, variazione del battito cardiaco) e agisce sull'attività ormonale (aumento delle catecolamine e dei corticosteroidi nel sangue); lo stress inoltre influenza negativamente la prestazione dei soggetti in compiti cognitivi che coinvolgono l'attenzione, la memoria a breve termine, la memoria incidentale; le conseguenze dello stress si estendono, poi, anche alle relazioni interpersonali e agli affetti. In particolare è stato dimostrato che in condizioni di stress recede il livello di altruismo e di cooperazione tra gli individui e si registra un incremento delle condotte aggressive. Un aspetto fondamentale risulta essere la scelta dell'habitat che costituisce indubbiamente per tutti gli organismi il primo e cruciale passo per la sopravvivenza. Come afferma lo studioso Edward O. Wilson, le ricerche condotte negli ultimi 30 anni nel settore relativamente nuovo della psicologia ambientale indicano costantemente la seguente conclusione: le persone preferiscono stare in ambienti naturali, in particolare nella savana o in un habitat simile ad un parco. Amano poter spaziare con lo sguardo su una superficie erbosa relativamente piana punteggiata di alberi e cespugli. Vogliono stare vicino a una massa d'acqua (un oceano, un lago, un fiume o un ruscello). Cercano di costruire le proprie abitazioni su un rilievo, da cui poter osservare in sicurezza la savana o l'ambiente acqueo. Prediligono caratteristiche topografiche e aperture che consentono una visione più ampia,

si chiede di sapere:

se sia vero quanto riferito in premessa;

se non si ritenga di dover vietare questi lavori di sondaggio geosismico e successiva installazione di pozzi petroliferi;

se, alla base dei pochi dati presentati dalla Northern Petroleum e grazie all'ampia e documentata esperienza mondiale, sia possibile avallare con serenità che l'impatto dei pozzi abbia conseguenze nulle e che nessuna sostanza di scarto dell'opera di trivellamento finisca nelle acque pugliesi;

se sia possibile procedere all'annullamento dei permessi di ricerca limitatamente alla parte in cui sono interessate anche zone di mare il cui utilizzo dovrebbe essere inibito nel modo richiamato in premessa.

(4-06237)

venerdì 26 ottobre 2012

Prospezioni: concessioni inammissibili


http://www.democraziakmzero.org/2011/05/18/se-il-petrolio-finisse-domani/
Segnalo questo atto della Camera presentato dall'On. Cimadoro nel 2010. E' un documento significativo che apre uno squarcio sulle modalità con le quali vengono affidati permessi di ricerca di idrocarburi sul nostro territorio. A società con capitale sociale pari a 10mila euro vengono fatte concessioni per lo svolgimento di attività pericolose e dannose. Attività per le quali non hanno i fondi necessari a coprire il danno.
Chiara Madaro



ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/03127

Dati di presentazione dell'atto

Legislatura: 16
Seduta di annuncio: 343 del 28/06/2010

Firmatari

Primo firmatario: CIMADORO GABRIELE
Gruppo: ITALIA DEI VALORI
Data firma: 25/06/2010

Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario
Gruppo
Data firma
MESSINA IGNAZIO
ITALIA DEI VALORI
25/06/2010

Commissione assegnataria

Commissione: X COMMISSIONE (ATTIVITA' PRODUTTIVE, COMMERCIO E TURISMO)

 
Destinatari

Ministero destinatario:

·         MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO

Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO delegato in data 25/06/2010

Stato iter:

CONCLUSO il 15/07/2010

Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO
15/07/2010
SAGLIA STEFANO
SOTTOSEGRETARIO DI STATO SVILUPPO ECONOMICO
REPLICA
15/07/2010
MESSINA IGNAZIO
ITALIA DEI VALORI

Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 28/06/2010
DISCUSSIONE IL 15/07/2010
SVOLTO IL 15/07/2010
CONCLUSO IL 15/07/2010

Atto Camera

Interrogazione a risposta in Commissione 5-03127

presentata da

GABRIELE CIMADORO
lunedì 28 giugno 2010, seduta n.343


CIMADORO e MESSINA. -

Al Ministro dello sviluppo economico.

- Per sapere - premesso che:

la società San Leon Energy srl, con capitale sociale di euro 10.000, avente sede in via Rubichi n. 93 a Monteroni di Lecce, ha presentato al Ministero dello sviluppo economico, in data 21 febbraio 2008, tre domande di ricerca in mare di idrocarburi: la prima, denominata D352 CR-SL, copre un'area di 358,5 chilometri quadrati situata a Ovest della Sicilia, nella zona C del Canale, a sud delle Isole Egadi; la seconda, D353 CR-SL, copre un'area di 226,2 chilometri quadrati situata a sudovest della Sicilia, nella zona C del Canale; la terza, D354 CR-SL, copre un'area di 482,5 chilometri quadrati situata a sudovest della Sicilia e in prossimità della costa, nella zona C del canale;

in particolare, in relazione alla domanda D 354 CR-SL che incide su un'area estremamente vasta al largo delle coste di Sciacca, Menfi e Castelvetrano, veniva rilasciato parere favorevole da parte della Commissione per gli idrocarburi e le risorse minerarie (CIRM) - comitato tecnico per gli idrocarburi e le geometrie (CTIG) in data 20 gennaio 2009;
il piano di ricerca prevede una prima fase con indagini sismiche condotte con airgun (pistola ad aria che crea un onda sonora ad alta intensità) e geofoni ed un'ultima fase in cui verranno effettuate delle trivellazioni con lo scopo di emungere il petrolio dai giacimenti petroliferi per valutarne la redditività;

in data 13 aprile 2010 veniva pubblicato in Gazzetta Ufficiale, nella sezione inserzioni a pagamento, la richiesta di verifica di assoggettabilità ambientale e da tale data, decorrono i 45 giorni per effettuare, da parte di soggetti interessati, osservazioni, istanze o pareri;

il vaglio positivo ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico al piano di ricerca sopra descritto genera preoccupazione e numerose perplessità socio-economiche considerato che le città di Sciacca, Menfi e Castelvetrano sono a prevalente economica peschereccia, con il più grande porto di pesce azzurro del Mediterraneo a Sciacca, e turistica legata alle bellezze del mare, tale da ricevere dall'Unione europea, dallo Stato e dalle regioni, centinaia di milioni di euro per lo sviluppo turistico del loro territorio. In particolare, si citano: il resort di lusso della catena alberghiera Forte, con annessi campi da golf sulla spiaggia, ubicato a Sciacca, per circa 70 milioni di euro a fondo perduto; il resort di lusso della catena alberghiera Sol Melià, ubicato sulla costa di Sciacca in località Monte Rotondo, per un importo finanziato di circa 70 milioni di euro; il complesso di 3 alberghi, denominato SITAS, per un importo finanziato di svariate decine di milioni di euro; il porto turistico, ubicato a Menfi, per un importo finanziato di circa 20 milioni di euro;

il progetto di ricerca rischia di danneggiare e stravolgere completamente l'economia del territorio, considerato che: il divieto di balneazione e pesca, che accompagna le perforazioni a mare per una distanza di alcune miglia, potrà rendere non balneabili svariati chilometri di costa che, come a Menfi si fregiano da quattordici anni dell'ambito riconoscimento della bandiera blu; le onde sonore dovute alle indagini sismiche hanno effetti devastanti sulla fauna marittima, che in quella zona è particolarmente ricca e varia; lo sversamento accidentale di idrocarburi dovuto all'emungimento dei giacimenti potrebbe portare ad un inquinamento irreversibile del fragilissimo e ricchissimo ecosistema faunistico; la nave sismica e gli eventuali pozzi di trivellazione sarebbero visibili dalla costa, producendo un impatto sul paesaggio che danneggerebbe il turismo balneare; il depauperamento della flora e della fauna, dovute alle attività di ricerca, di trivellazione e di estrazione porteranno ad un impoverimento della fauna ittica e, quindi, ad un sicuro impoverimento della florida economia del comparto della pesca;

rimangono numerose perplessità sulla concessione al progetto D 354 CR-SL della San Leon anche in relazione alla società concessionaria: in primis, dati gli elevati rischi connessi agli impianti off-shore, di cui si ha un tragico monito negli avvenimenti nel golfo del Messico, appare agli interroganti irrisorio un capitale sociale di appena 10.000 euro da parte della società concessionaria;

l'affidabilità della società concessionaria è discutibile anche sotto il profilo dell'esperienza nel settore, risultando una società inattiva, e soprattutto per la sua storia: l'azienda, a responsabilità limitata, con sede a Monteroni di Lecce, è stata costituita a Roma il 26 ottobre 2007 dal signor Armin Stocker, socio e amministratore unico, di fronte al notaio Alberto Vladimiro Papasso. Il 7 febbraio 2008 la società è ceduta ad una compagnia estera fondata nel 2002 con sede a Dublino, la San Leon Energy Limited Company, azienda privata che opera a livello internazionale nel settore della prospezione e produzione petrolifera e di gas naturale con progetti in Nordafrica, Europa e America settentrionale. Il signor Stocker, nonostante la cessione, continua a conservare la carica di amministratore unico fino al 19 gennaio 2010. In tale data, peraltro di un solo giorno antecedente il rilascio del parere favorevole da parte del Ministero dello sviluppo economico, assume la carica di amministratore delegato il signor Bryan Finbarr Martin, nato a Portsmouth (BG) il 24 dicembre 1965 e domiciliato in Roma;

si evince dal sito della società: «SLE ha ottenuto con grande successo tutte e cinque le concessioni richieste in Italia. Sebbene due delle concessioni fossero molto richieste, il ministero italiano ha optato per San Leon Energy SRL a gennaio 2009». L'affermazione, viene ripetuta in data 13 luglio 2009 in sede di assemblea ordinaria della società dall'allora amministratore unico signor Armin Stocker, alla presenza dei rappresentanti della San Leon Energy Limited, a quel tempo soci unici proprietari del capitale sociale;

secondo quanto affermato il 18 maggio 2010 dal Governo in sede di risposta ad interpellanza urgente alla Camera dei deputati, la società non ha ottenuto la concessione, ma semplicemente un parere favorevole degli esperti tecnici alla domanda di ricerca, mentre l'autorizzazione effettiva potrà essere concessa solo dopo la chiusura dell'istruttoria del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuterà la compatibilità ambientale;

in sede di risposta all'interpellanza urgente succitata, il Governo ha fatto sapere anche che il Ministero dello sviluppo economico ha provveduto, con decreto ministeriale (disciplinare tecnico) del 26 aprile 2010, ad emanare specifiche norme che fissano puntualmente requisiti tecnici ed economici per le aziende che facciano domanda di ricerca di idrocarburi e che la San Leon Energy verrà sottoposta al vaglio contenuto in tale disciplinare;
si legge ancora sul sito della società: «Il Gruppo è stato soggetto alla due diligence CIRM per quanto riguarda la solidità tecnica e finanziaria dell'azienda ed è risultato vincente in una gara di appalto contro due affermate aziende statunitensi» -:

se la San Leon Energy srl abbia già superato il vaglio di affidabilità tecnica ed economico-finanziaria, sia aziendale che progettuale, ed in caso affermativo, quali siano stati gli elementi analizzati e i criteri di selezione, in considerazione del capitale sociale (10.000 euro), ad avviso degli interroganti irrisorio, e del fatto che la predetta società risulta ad oggi formalmente «inattiva» come si evince dalla certificazione rilasciata dalla CCIAA di Lecce.(5-03127)