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lunedì 15 agosto 2016

Intervista a Rubens Onofre Nodari - il futuro è nell'agro-ecologia



Prof. Rubens Onofre Nodari[1], Titolare della Cattedra dell’Università di Santa Catarina, UFSC, Florianopoli, Brasile, Programma di Dottorato in Risorse Genetiche Vegetali

 Scenari innovativi, futuristici, l’illusione di poter conoscere ogni segreto della materia vivente e di poter piegare con pochi gesti alle proprie esigenze, ciò che la natura ha creato e perfezionato nei millenni.
I genetisti della generazione del Prof. Rubens Onofre Nodari, sono stati tra i primi ad avere il privilegio di assistere alla nascita dell’ingegneria genetica ed esserne sollecitati intellettualmente.
Un nuovo passo per la scienza che per alcuni si è immediatamente tradotto in affare miliardario. La possibilità di introdurre sul mercato prodotti capaci di mantenere forme e dimensioni prestabilite, senza i difetti causati dagli insetti, una meta finanziaria promettente cui in pochi si sono sottratti in quegli anni. Anni in cui gli effetti avversi dell’ingegneria genetica erano, tuttavia, già emersi e, nonostante questo, tentazione e lucro  hanno vinto su ragione e buonsenso[2].
“E’ colpa degli scienziati, più che della politica”, afferma il Prof. Nodari e cita “Genes alterados, verdades distorcidas”, un testo edito nel marzo 2015 da Steven M. Druker, un avvocato che affronta temi di pubblico interesse e che ha rivelato la più grossa frode perpetrata dalla scienza, mai conosciuta, costringendo in tribunale, la Food and Drug Administration a rendere pubblici documenti che dimostrano legami strategici a livello governativo e militare, la definizione di come i semi siano stati utilizzati a fini bellici, un’arma da utilizzare tra nazioni a scopi estorsivi, mentre le istituzioni pubbliche si davano da fare per sopprimere le prove e falsare la realtà.
“Quello che mi hanno insegnato i filosofi – dice in proposito il Prof. Nodari – è che lo scienziato non ha diritto a disconoscere ciò che è sconosciuto. Occorre una ricerca capace di contestualizzare e che tenga conto della società, il contrario della visione riduzionista che, oggi, predomina”. Per Nodari la società costituisce un organo di controllo. Ma come può, la società, svolgere tale ruolo se il capitalismo non lo permette? Se la realtà è distorta scientemente? Se la stessa scienza si presta alla mistificazione? E cita Aldo Malavasi, genetista specializzato in genetica animale e Presidente di Biofábrica Moscamed Brasil, azienda che dal 2005 modifica geneticamente la mosca della frutta affinchè non risulti dannosa per le coltivazioni in seno al ‘Programa de Erradicação da Mosca da Carambola’ promosso a livello governativo. Un errore perché, dice il Professore, ciò che è grande e delimitato è facile da controllare ma ciò che è piccolo e dinamico, no, ed esistono circa 500 tipi di insetto resistenti ai pesticidi. Le mutazioni genetiche che alcuni scienziati stanno imponendo alle specie vegetali e animali e l’utilizzo di pesticidi ha aperto la strada a effetti del tutto sconosciuti, anche perché i dati disponibili non sono condivisi con i ricercatori indipendenti, quindi gli effetti di ciò che oggi viene realizzato sono del tutto sconosciuti.
La scienza, dice il Prof. Nodari, ha una grande responsabilità rispetto a questo problema. La trans genia è una sofisticazione della Rivoluzione Verde, dice ancora, e prevede che la nostra specie, di questo passo, non sopravviverà più di 100 anni ancora.
I cambiamenti in atto stanno provocando una diminuzione della biodiversità anche per le conseguenze dei mutamenti climatici. Sulle montagne andine esisteva un tipo di patata che cresceva a 4000 metri di altitudine e che oggi non crescono più perché, anche a quelle altezze, la temperatura si è alzata. A 4000 metri i contadini devono coltivare una varietà di patata che cresceva a 3600 metri.
Ma, conclude il Professore, la possibilità di uscire da questa follia, è percorribile. Non possiamo far tornare la natura come era prima ma quello che possiamo fare è mitigare gli effetti negativi della tecnologia. E’ ciò a cui Nodari sta dedicando le sue energie da alcuni anni: l’Agroecologia, unica via per abbandonare la strada della tecnologia applicata all’agricoltura di base, quella cui il Professore attribuisce una considerazione etica profonda: quanti geni ha una pianta? Ogni gene ha varie possibilità di combinazione operate nel tempo dagli agricoltori: sono contributi che, praticamente, ignoriamo, commenta il Professore che aggiunge: “Quella dell’ingegneria genetica è una appropriazione indebita delle conoscenze intellettuali di intere generazioni di contadini. Attraverso la transgenia è mutato il paradigma della proprietà intellettuale in agricoltura. Invece l’Agroecologia non ha effetti negativi, non usa veleni e diminuisce i costi di produzione. Una varietà transgenica costa 150milioni in più rispetto ad una varietà creola. Inoltre continua a produrre servizi eco sistemici perché in un unico terreno sono presenti decine o centinaia di specie. Al contrario, la monocoltura distrugge la catena trofica ed ecologica e favorisce l’uso di agrotossici”. Ma oggi chi studia agraria viene indirizzato a non riconoscere le interazioni tra le specie né l’importanza sociale dell’agricoltura. “Le università – dice Nodari – formano persone arroganti. Molti agronomi pretendono di sapere più di quanto non sappia un agricoltore, che in realtà sa di più”. Nodari e i suoi ricercatori, con l’Agroecologia, collaborano con un gruppo di agricoltori ad un progetto di miglioramento partecipativo delle specie vegetali basato su tecniche antiche quanto la storia dell’agricoltura: la selezione e ricombinazione naturale delle varietà. L’Agroecologia promuove la coesione sociale, quindi la pianificazione dei paesaggi che viene studiata in modo da ottenere un successo economico.  Si può fare: il Perù, ad esempio, è quasi totalmente agro ecologico. E la ristrutturazione del suolo danneggiato può avvenire in pochi anni. Ma si deve cambiare paradigma culturale. “Rimango sorpreso – dice Nodari – di quanto la gente sia interessata agli effetti sulla salute  di animali e piante e non sulla possibilità di restaurare e preservare. Ci sono pochissimi studiosi che stanno facendo ricerca su questo. Anche chi si occupa di Diritto, sembra non attribuire importanza all’Art. 225 della Costituzione. Dopo i primi anni successivi alla dittatura, quando tutti sembravano voler partecipare al destino del Paese, è finito tutto”. “L’avanzata della scienza e della tecnologia – continua - ha posto il problema dell’uso che si fa della conoscenza. Ad esempio il DDT è una molecola che è stata scoperta nel 19mo secolo da Nobel e in quell’epoca non esistevano norme in relazione agli agrotossici in agricoltura. Ma una questione che rimane senza controllo è pericolosa perché la scienza è cifrata, non arriva alla popolazione. La conoscenza non arriva mai alla società e il Ministero attribuisce poche risorse alla ricerca nel campo dell’Agroecologia che è una materia molto complessa perché necessita di competenze che riguardano le interazioni tra piante ed insetti, ad esempio. In tutto ciò la collaborazione con gli agricoltori è fondamentale ma negli ultimi decenni la loro capacità è stata poco valorizzata”. Ma non tutto è perduto: Gli esperimenti nel campo dell’agroecologia, negli ultimi anni, si sono moltiplicati[3] e hanno dimostrato come, campi abbandonati perché improduttivi in seguito ad uno sfruttamento chimico del terreno[4], siano tornati rigogliosi addirittura nell’arido deserto del Sahel, offrendo sicurezza alimentare a migliaia di nuclei familiari.
“Una volta che la transizione inizia, afferma Nodari, il percorso virtuoso è, ormai, avviato”. 


[1] http://ppgean.ufsc.br/docentes/rubens-onofre-nodari/
[2] https://allianceforbiointegrity.wordpress.com/index-key-fda-documents-revealing-1-hazards-of-genetically-engineered-foods-and-2-flaws-with-how-the-agency-made-its-policy/

[3]  “FAO Success Stories of Climate-Smart Agriculture” FAO 2014
[4] “A livello globale gli effetti dell’agricoltura chimica nel lungo termine sono stati disastrosi (…) Infatti, si interrompe l’equilibrio dei processi  ecologici del suolo, diminuisce la quantità di materia organica e, con questa, la capacità del terreno di trattenere umidità e carbonio”. Fritjof Capra, Anna Lappè, “Agricoltura e Cambiamento Climatico”, pg. 20, Ed. Aboca, 2016