Salvatore Borsellino, fratello del magistrato Paolo Borsellino |
Martedì 02 Aprile 2013 17:12
Temevo che si sarebbe arrivato a questo, lo temevo, ma
adesso che è avvenuto sono assalito da un senso di nausea.
Avevo sperato che le cose potessero prendere un corso
diverso, lo avevo sperato quando avevo visto nell'aula
bunker di Palermo Mancino seduto sul banco degli imputati,
chiamato a rendere conto del suo silenzio, delle sue
menzogne, della sua assurda pretesa di volere mettere una
sua misera, pretesa verità a fronte di una testimonianza
non
smentibile: quella di Paolo Borsellino.
Una testimonianza scritta a penna sulla sua agenda grigia ma
con la stessa forza di una verità incisa sulla pietra.
"1°
luglio 1992, 19:30, Mancino". Pretesa verità, sicura
menzogna per continuare a sostenere la quale ha dovuto
arrivare ad asserire quanto di meno possibile si possa
concepire. Un cittadino italiano, non uno qualsiasi, ma un
ministro dell'interno che 57 giorni dopo l'assassinio di
Giovanni Falcone non conosce la fisionomia di Paolo
Borsellino, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, il
magistrato che solo avrebbe potuto ricoprire l'incarico che
era costato la vita, ancora prima di assumerlo, a Giovanni
Falcone. Ma era solo un'illusione, le complicità che per
venti anni hanno mantenuto in piedi la scellerata
congiunta
del silenzio sulla trattativa che ha accelerato la condanna
a morte di Paolo Borsellino, stavano solo affilando le armi,
preparando il veleno. Così 10 giorni fa, è arrivato
puntuale
a destinazione la freccia avvelenata. Si è mosso
direttamente il Procuratore Generale della Cassazione,
Gianfranco Ciani, per promuovere un'azione disciplinare nei
confronti di Nino Di Matteo utilizzando l'arma da poco
confezionata attraverso il ricorso alla Consulta dal Capo
dello Stato e la successiva sentenza della Corte
Costituzionale. E' stata sancito su sollecitazione
dell'interessato, un principio non contenuto nella
Costituzione: "LA LEGGE NON E' EGUALE PER TUTTI", il
Presidente della Repubblica non è soggetto alle leggi ed
una
casuale intercettazione di questa nuova figura di sovrano
assoluto deve essere immediatamente distrutta anche qualora
dovesse contenere elementi che possano essere utilizzati a
propria difesa da un imputato in un procedimento
giudiziario. Il diritto alla riservatezza del capo dello
stato è prevalente sul diritto alla difesa di un comune
cittadino. Ed utilizzando questa sentenza si accusa Di
Matteo di avere leso tale diritto alla riservatezza per
avere "indirettamente" ammesso l'esistenza di telefonate del
capo dello Stato casualmente intercettato in colloquio con
un
indagato, proprio quel Nicola Mancino che poi verrà
incriminato per falsa testimonianza al processo per
"Attentato al corpo politico dello Stato" attualmente in
corso a Palermo. Che l'accusa sia assolutamente capziosa lo
si desume dal fatto che Di Matteo rispondeva ad una precisa
domanda di un giornalista sull'esistenza di quelle
intercettazioni di cui avevano già dato notizia sia il
settimanale Panorama sia Il Fatto Quotidiano.
Ma poco importa, quello che si voleva ottenere era
intimidire Di Matteo ed isolarlo e se il primo obiettivo non
è stato raggiunto perchè Di Matteo è un magistrato con
la
schiena veramente dritta come pochi ne abbiamo in Italia, il
secondo obiettivo ha avuto il suo effetto e oggi se ne
vedono le conseguenze.
Non sono bastati gli esempi di Giovanni Falcone e
Paolo
Borsellino, isolati, calunniati, non sostenuti anzi
avversati dalla maggioranza degli altri magistrati e infine
lasciati uccidere senza, nella migliore delle ipotesi,
assicuragli una adeguata protezione ed ignorando i preavvisi
di morte che più volte gli erano pervenuti.
Non sono bastati, la storia si ripete e puntuale arriva
anche per Di Matteo un avvertimento di morte, il più grave
tra quelli fino ad oggi pervenuti. Tutto è troppo simile a
quanto avvenuto prima delle stragi del '92 e lo dice, come
monito, la stessa missiva che non è scritta da mano
mafiosa
ma di chi della mafia si è sempre servito: "Amici romani
di
Matteo Messina Denaro hanno deciso di eliminare il pm Nino
Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per
fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha
dato il suo assenso". Gli "amici romani" sappiamo chi sono,
gli stessi che hanno condotto una scellerata trattativa
mafia-Stato e quelli che su questa trattativa hanno
mantenuto una congiura del silenzio durata venti anni. La
confusione istituzionale è eguale se non superiore a
quella
di quegli anni tragici e anche in questa occasione c'è da
eleggere un nuovo presidente della Repubblica.
Non dobbiamo permettere che la storia si ripeta.
Il nostro paese non ha bisogno di martiri. Il nostro paese
ha bisogno di magistrati vivi e non di magistrati qualsiasi
ma di magistrati veri, di magistrati come Nino Di Matteo.
Salvatore Borsellino (2 aprile 2013)
[Allegato : Giurisprudenza 18luglio2012.jpg]http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/01/17/news/borsellino_abbandona_ingroia_volevano_solo_la_mia_candidatura-50716254/
luglio 1992, 19:30, Mancino". Pretesa verità, sicura
menzogna per continuare a sostenere la quale ha dovuto
arrivare ad asserire quanto di meno possibile si possa
concepire. Un cittadino italiano, non uno qualsiasi, ma un
ministro dell'interno che 57 giorni dopo l'assassinio di
Giovanni Falcone non conosce la fisionomia di Paolo
Borsellino, il magistrato simbolo della lotta alla mafia, il
magistrato che solo avrebbe potuto ricoprire l'incarico che
era costato la vita, ancora prima di assumerlo, a Giovanni
Falcone. Ma era solo un'illusione, le complicità che per
Il magistrato antimafia Antonino Di Matteo |
del silenzio sulla trattativa che ha accelerato la condanna
a morte di Paolo Borsellino, stavano solo affilando le armi,
preparando il veleno. Così 10 giorni fa, è arrivato
puntuale
a destinazione la freccia avvelenata. Si è mosso
direttamente il Procuratore Generale della Cassazione,
Gianfranco Ciani, per promuovere un'azione disciplinare nei
confronti di Nino Di Matteo utilizzando l'arma da poco
confezionata attraverso il ricorso alla Consulta dal Capo
dello Stato e la successiva sentenza della Corte
Costituzionale. E' stata sancito su sollecitazione
dell'interessato, un principio non contenuto nella
Costituzione: "LA LEGGE NON E' EGUALE PER TUTTI", il
Presidente della Repubblica non è soggetto alle leggi ed
una
casuale intercettazione di questa nuova figura di sovrano
assoluto deve essere immediatamente distrutta anche qualora
dovesse contenere elementi che possano essere utilizzati a
propria difesa da un imputato in un procedimento
giudiziario. Il diritto alla riservatezza del capo dello
stato è prevalente sul diritto alla difesa di un comune
cittadino. Ed utilizzando questa sentenza si accusa Di
Matteo di avere leso tale diritto alla riservatezza per
avere "indirettamente" ammesso l'esistenza di telefonate del
capo dello Stato casualmente intercettato in colloquio con
Nicola Mancino |
incriminato per falsa testimonianza al processo per
"Attentato al corpo politico dello Stato" attualmente in
corso a Palermo. Che l'accusa sia assolutamente capziosa lo
si desume dal fatto che Di Matteo rispondeva ad una precisa
domanda di un giornalista sull'esistenza di quelle
intercettazioni di cui avevano già dato notizia sia il
settimanale Panorama sia Il Fatto Quotidiano.
Ma poco importa, quello che si voleva ottenere era
intimidire Di Matteo ed isolarlo e se il primo obiettivo non
è stato raggiunto perchè Di Matteo è un magistrato con
la
schiena veramente dritta come pochi ne abbiamo in Italia, il
secondo obiettivo ha avuto il suo effetto e oggi se ne
vedono le conseguenze.
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
Borsellino, isolati, calunniati, non sostenuti anzi
avversati dalla maggioranza degli altri magistrati e infine
lasciati uccidere senza, nella migliore delle ipotesi,
assicuragli una adeguata protezione ed ignorando i preavvisi
di morte che più volte gli erano pervenuti.
Non sono bastati, la storia si ripete e puntuale arriva
anche per Di Matteo un avvertimento di morte, il più grave
tra quelli fino ad oggi pervenuti. Tutto è troppo simile a
quanto avvenuto prima delle stragi del '92 e lo dice, come
monito, la stessa missiva che non è scritta da mano
mafiosa
ma di chi della mafia si è sempre servito: "Amici romani
di
Matteo Messina Denaro hanno deciso di eliminare il pm Nino
Di Matteo in questo momento di confusione istituzionale, per
fermare questa deriva di ingovernabilità. Cosa Nostra ha
dato il suo assenso". Gli "amici romani" sappiamo chi sono,
gli stessi che hanno condotto una scellerata trattativa
mafia-Stato e quelli che su questa trattativa hanno
mantenuto una congiura del silenzio durata venti anni. La
confusione istituzionale è eguale se non superiore a
quella
di quegli anni tragici e anche in questa occasione c'è da
eleggere un nuovo presidente della Repubblica.
Non dobbiamo permettere che la storia si ripeta.
Il nostro paese non ha bisogno di martiri. Il nostro paese
ha bisogno di magistrati vivi e non di magistrati qualsiasi
ma di magistrati veri, di magistrati come Nino Di Matteo.
Salvatore Borsellino (2 aprile 2013)
[Allegato : Giurisprudenza 18luglio2012.jpg]http://palermo.repubblica.it/cronaca/2013/01/17/news/borsellino_abbandona_ingroia_volevano_solo_la_mia_candidatura-50716254/
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