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venerdì 7 febbraio 2014

Cavtat: un caso irrisolto


di Chiara Madaro
Il recente Rapporto sull'Italia pubblicato dalla Comunità Europea delinea un paese dove il confine tra lecito e illecito appare sbiadito e, dunque, non riesce ad evolvere. Una realtà che ci costringe ad accettare proposte altrove improponibili.  Come la notizia che in questi giorni sta allarmando le comunità calabre di Gioia Tauro che rischiano di essere smobilitate allo scopo di consentire una importante operazione internazionale di disarmo. A pensarci viene in mente un fatto avvenuto 40 anni fa. Tags in comune? Mare, armi, veleni, Mediterraneo sudorientale, affondamenti....
Nel 1974 fece scalpore il caso dell’affondamento della nave mercantile Cavtat avvenuto in circostanze e modalità poco chiare al largo del Golfo di Otranto.
http://www.lucaturi.it/page.php?id_articolo=20232&id_categoria=13&titolo=LA%20VICENDA%20DELLA%20NAVE#.UvUZ9HmPJjo
Un bidone di piombo tetraetile recuperato dalla Cavtat
Secondo il manifesto di bordo, la Cavtat viaggiava con un carico di 2500 tonnellate di cui 270 di piombo tetraetile divise in 900 bidoni e il resto di ‘ferraglia’ e materiale chimico non ben definito. Secondo alcuni poteva trattarsi di armi anche perché, a differenza di quanto dichiarato in origine, il cargo salpava dal porto di Manchester, noto per via del traffico d’armi. Il carico fu recuperato nei quattro anni successivi grazie all’impegno profuso dall’allora pretore di Otranto, Alberto Maritati. Un impegno proseguito malgrado le pressioni esercitate nei suoi confronti da entità governative e internazionali affinché il carico fosse lasciato in fondo al mare. L'ultimo bidone di piombo tetraetile fu portato in superficie il 12 aprile 1978 a dispetto del parere di una commissione internazionale composta da 12 scienziati della Nato i quali affermarono che tra il ‘76 e il ‘77 i bidoni avrebbero iniziato a disperdere il loro contenuto. Il costo dell'intera operazione ammontò a 15 miliardi di Lire ma riguardò solo i fusti di piombo tetraetile; il resto del carico, quello che veramente preoccupava la comunità internazionale e di cui tutt’oggi non si sa nulla, rimase nel relitto[1]. Se si trattava veramente di armi, per quanto chimicamente letali, è certo che le ragioni che prevalsero nella gestione della faccenda non furono di natura ambientale e le priorità rispetto ai rischi che si volevano evitare portavano a ritenere che qualsiasi rischio ambientale era sempre meglio di altri rischi.[2] Sembra essere una costante in molti casi.

http://www.lucaturi.it/page.php?id_articolo=20232&id_categoria=13&id_sottocategoria1=0&id_sottocategoria2=0&titolo=LA VICENDA DELLA NAVE#.UvUVyHmPJjo
Immagini dell'operazione di recupero

Casi in cui l’intreccio tra guerre, armi chimiche, crimine ambientale e diritti umani è cementato al punto da persistere da decenni senza che né gli Stati né le organizzazioni sovranazionali riescano ad andare oltre la dichiarazione di intenti o a superare le evidenti contraddizioni. Avviare un tribunale internazionale per i reati ambientali implica che non solo le imprese private ma anche e soprattutto governi e governanti dovranno attenersi a certe regole. E’, forse, questo che impedisce ogni oltre ragionevole attesa di rispondere positivamente alle richieste della società civile?
 
1] All’epoca dei fatti si sospettò che il carico dovesse servire alla guerra turco-cipriota caldeggiata dalla Cia. Proprio a Manchester, infatti, esisteva un enorme deposito d'armi appartenente a Samuel Cummings ex agente dell'organizzazione americana e indiscusso re del traffico d’armi su larga scala. La sua compagnia, la Interarms, registrava un fatturato annuo che ammontava mediamente a 100milioni di dollari provenienti da accordi stretti con dittatori, despoti, rivoluzionari e controrivoluzionari che alimentavano tra le altre, le guerriglie centro americane, senza fare distinzione di bandiera. L’affondamento della Cavtat avvenne alle 4.12 del 14 luglio 1974 quando entrò in collisione con la 'Lady Rita', battente bandiera panamense, e comandata dal napoletano Carmine Laudato. Colpiscono alcuni particolari: l’imbarcazione non affondò dal punto in cui venne colpita e poi l’affondamento durò 6 ore durante le quali non fu mai lanciato l’SOS. Non fu mai possibile stabilire ufficialmente un legame tra l’affondamento della Cavtat e la guerra di Cipro ma i fatti avvennero giusto pochi giorni prima dell’invasione turca (20 luglio 1974) mentre le operazioni di recupero terminarono a guerra finita.
[2] Durante la guerra fredda, la Nato avviò strutture e operazioni paramilitari di tipo segreto con l’intenzione di arginare possibili attacchi da parte dei Paesi del Patto di Varsavia. L’Italia faceva parte della ‘stay-behind net’, la rete al di là di ogni istituzione visibile, con Gladio in cui confluirono forze anti comuniste nate durante il secondo conflitto mondiale. La rete era in parte finanziata dalla Cia e ne facevano parte praticamente tutti i paesi europei, comprese le neutrali Svizzera e Svezia. Questa rete agiva al di fuori delle tradizionali organizzazioni militari della Nato anche attraverso i Cag, centri di addestramento guastatori, che avevano il compito di intervenire durante gli scioperi o le manifestazioni. E’, dunque, possibile che in ambito Nato siano state intraprese iniziative parallele e contrastanti rispetto a quelle ufficiali. Anche Cipro faceva parte della rete con il LOK che organizzò un colpo di stato ai danni del Presidente, l’Arcivescovo Makarios, il 15 luglio 1974 accusato da Kissinger di essere il ‘Castro del Mediterraneo’. In occasione del processo a Gladio del 1990 l’Avvocato Generale dello Stato dichiarò legittima la struttura e in linea con il Trattato Nato, un patto difensivo atto a creare un collegamento diretto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Si tratta, perciò, di strutture legittimate ad operare ancora oggi.
 

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