di Chiara Madaro
La direttiva sugli
organismi geneticamente modificati (Ogm) pubblicata a marzo di quest’anno e
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea con il titolo di “DIRETTIVA
(UE) 2015/412 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO dell'11 marzo 2015”, è la
rappresentazione di quanto l’esperienza dell’Unione Europea sia, ormai,
diventata un coacervo di interessi, lontani dai principi ispiratori che hanno
permesso il suo battesimo. La direttiva in questione modifica la precedente (2001/18/CE)
e consente agli Stati Parti di legiferare autonomamente sul proprio territorio,
questo, almeno, quanto divulgato. Ma cosa c’è d’altro?
Dal testo della Direttiva si evince
come, di fatto, non esistano leggi comunitarie realmente restrittive in materia
di organismi geneticamente modificati. Una ammissione di incapacità nel
raggiungimento di accordi comuni, di una visione limitata sul futuro agricolo
dell’Europa. Una visione che ha già impoverito grossi settori produttivi
italiani e distrutto pregiate cultivar autoctone e, dunque, biodiversità
mediterranea/capacità produttiva.
La direttiva emanata in marzo, tra
l’altro, si contraddice nel momento in cui, dopo aver citato ciò che non è
possibile non ricordare, ovvero il principio di precauzione e la necessità di
accertarsi che le tecnologie utilizzate non danneggino ambiente e salute umana,
afferma quanto segue:
(5) “Quando
un OGM è autorizzato ai fini della coltivazione conformemente al quadro
normativo dell'Unione sugli OGM e soddisfa, per quanto concerne la varietà da
immettere in commercio, le prescrizioni del diritto dell'Unione sulla
commercializzazione delle sementi e dei materiali di moltiplicazione delle
piante, gli Stati membri non sono autorizzati a vietare, limitare o ostacolare
la sua libera circolazione nel loro territorio, salvo che alle condizioni
definite dal diritto dell'Unione”.
Oltre che un evidente
lesione del diritto di sovranità nazionale, un veto, dunque, al divieto di
utilizzo di Ogm. Un veto che, di fatto, annulla il messaggio che ha reso questa
direttiva così popolare (o impopolare) tra coloro che lottano contro la
biotecnologia degli Ogm da anni. Perché se anche fosse vero che il nostro Paese
legiferasse ‘contro’, se un produttore – come già accade – decidesse di avviare
una coltivazione Ogm, con queste poche righe, nessuno potrebbe impedirglielo.
In più parti,
inoltre, la nuova Direttiva specifica che i divieti a cui gli Stati possono
ricorrere riguardano la coltivazione e non il libero transito e commercio di
prodotti Ogm. Al punto 16 si afferma, infatti:
(16)
Le limitazioni o i divieti adottati ai sensi della presente direttiva
dovrebbero riguardare la coltivazione, e non la libera circolazione e
l'importazione, di sementi e materiale di propagazione vegetale geneticamente modificati,
come tali o contenuti in prodotti, e dei prodotti del loro raccolto, e
dovrebbero inoltre essere conformi ai trattati, in particolare per quanto
riguarda il principio di non discriminazione tra prodotti nazionali e non
nazionali, il principio di proporzionalità e l'articolo 34, l'articolo 36 e
l'articolo 216, paragrafo 2, TFUE.
Inutile dire che
questa norma
Un fatto grave se si
pensa che nessun Ogm può dichiarasi sicuro per il semplice fatto che non
conosciamo tutta la sequenza genica di ogni essere vivente e, dunque, non siamo
in grado di comprendere a cosa ci condurrebbe o ci sta conducendo l’uso di Ogm
e, non dimentichiamolo, di pesticidi, necessità collaterale alla biotecnologia
agraria.
Secondo l’Istituto
Biologico Italiano: “La funzione del Dna è ancora sconosciuta. In particolare è
sconosciuto il rapporto fra i geni e anche il rapporto di ogni parte con
l’intera molecola. Pertanto è molto rischioso modificare il Dna introducendo un
gene, perché non si sa che cosa questo possa provocare. E’ possibile che
provochi l’attivazione di un altro gene con produzione di sostanze indesiderate
(fenomeni allergici sull’uomo)”[1].
Motivo per cui l’Ibi contesta il principio di ‘soglia minima di tolleranza’
affermando che si tratta, di fatto, di un raggiro per i consumatori. Un raggiro
di cui siamo già vittime in quanto, senza saperlo, già consumiamo prodotti Ogm
importati dagli Usa dietro concessione della Comunità Europea. Se qualcuno si
fosse chiesto come mai si stia assistendo ad un’escalation delle allergie
alimentari e il motivo per cui è costretto a scegliere tra i piaceri della
buona tavola e la salute, forse, inizia a farsi un’idea.
E può iniziare a
farsi un’idea anche chi si scopre resistente ad alcuni antibiotici. Risale
ancora agli anni 90 un rapporto scientifico depositato alla Camera dei Comuni
britannica sull’indebolimento di difese immunitarie dovuto al consumo di
alimenti Ogm, mentre una ricerca olandese ha provato che il Dna contenuto in un
alimento non viene immediatamente disattivato ma impiega sei minuti, un tempo
durante il quale può passare ai batteri dell’intestino il gene di resistenza
agli antibiotici.
Il Premio Nobel per
la Pace Vandana Shiva, biologa e attivista nel campo dell’agricoltura
tradizionale afferma: “Con l’industrializzazione e la globalizzazione degli
alimenti, il problema della sicurezza alimentare diventa sempre più allarmante.
Su scala globale, assistiamo al diffondersi di nuove epidemie e alla mutazione
di patologie che diventano più virulente. (…) Negli ultimi decenni si sono
avvicendate due generazioni di nuove tecnologie connesse alla produzione
alimentare. La prima grande trasformazione comporta l’impiego di prodotti
chimici in agricoltura propagandato con il nome di Rivoluzione verde. I veleni
chimici utilizzati in guerra vengono riciclati in tempi di pace e distribuiti
come fertilizzanti sintetici e pesticidi. L’agricoltura e la produzione
alimentare si trovano così a dipendere da armi di distruzione di massa”[2].
L’Encefalopatia
bovina spongiforme con la sua variante umana (morbo di Creutzfeld-Jacob),
febbre suina, encefalopatie non mortali ma gravemente invalidanti, aviaria,
sono alcuni esempi di mutazioni di virus che dagli animali passano all’uomo
generando morti e malattie degenerative gravi.
Secondo la scienziata
indiana Shiva, lo Stato, anziché garantire i cittadini ed avviare protocolli di
controllo nei confronti delle grandi imprese, “le lascia libere di agire e
impone restrizioni ai piccoli produttori e alle culture locali fino a sancirne
l’illegalità”. Ancora al momento in cui scriveva (2005) Shiva valutava
positivamente la moratoria dell’Unione Europea sui prodotti agricoli e
alimentari geneticamente modificati in quanto tutelava il diritto alla
sicurezza alimentare. Ma molti prodotti confezionati, ad esempio, non sono
soggetti ad obbligo di etichettatura per cui non sappiamo cosa stiamo ingerendo
e, dunque, non possiamo scegliere, né fare una spesa consapevole.
Di fatto il fermo
imposto dalla UE era l’unico ostacolo alla libera circolazione di alimenti
senza controllo provenienti da Stati Uniti e Argentina, tra i maggiori
produttori di erbicidi e agricoltura Ogm.
Da qui la pronta
reazione di questi colossi agricoli in cerca di nuovi e fruttuosi mercati: il
13 maggio 2003 Stati Uniti, Argentina e Canada hanno impugnato la moratoria UE
lamentando una discriminazione nei confronti dei loro prodotti e affermando che
non poteva essere applicato il principio di precauzione ai prodotti Ogm.
Non sono in pochi, oggi,
a sospettare che la nuova direttiva europea sia un comodo ‘cavallo di Troia’ in
favore dell’accordo Commerciale Ttip, Accordo Trans-atlantico per il commercio
e gli investimenti con gli Usa (ed escludendi i Paesi del Bric, Brasile, Russia,
India, Cina). Un accordo che abbatterebbe molte barriere al momento esistenti,
che viene pubblicizzato come un modo per facilitare gli scambi e dunque le
opportunità di lavoro, di fatto un modo per le grosse imprese transnazionali
per oltrepassare e annullare limiti ambientali e diritti imposti attualmente
dalle leggi nei Paesi dell’Unione. Cosa se non un affronto per la sovranità
degli Stati?
Pubblico una serie di
20 interrogativi posti nel 2000 dall’Istituto Biologico Italiano in un libretto
informativo e divulgativo sugli “Alimenti geneticamente modificati”. Nella
serie di interrogativi – che dopo quasi 15 anni rimangono senza serie risposte
o azioni che vadano nella direzione dei diritti fondamentali dell’Uomo – anche
l’introduzione ad una questione scabrosa, di cui poco si parla e che può dare
la misura di quanto la scienza, sottomessa al potere di grosse entità
finanziarie e farmaceutiche, abbia aperto scenari a dir poco raccapriccianti
riguardanti l’umanizzazione di alcune
specie animali compatibili con il trapianto di organi e parti di corpo.
Venti quesiti non
risolti:
1-
Come si pensa di far fronte al
pericolo che la manipolazione del Dna abbia effetti imprevisti, dovuti al fatto
che la maggior parte dei geni di ogni organismo sono del tutto sconosciuti,
come pure sono sconosciute le relazioni che intercorrono tra un gene e l’altro?
2-
Come si può evitare che alcune
caratteristiche genetiche introdotte artificialmente nelle piante coltivate,
come ad esempio la resistenza agli erbicidi o ad alcuni parassiti, non venga
trasmessa, come già molto spesso è avvenuto, alle piante selvatiche rendendo
queste pericolosamente infestanti?
3-
Come si può evitare che gli insetti
‘utili’ vengano distrutti, come già molto spesso avvenuto, alle piante
selvatiche, rendendo queste pericolosamente infestanti?
4-
Come si può garantire che le
modificazioni genetiche non scatenino delle caratteristiche di tossicità (come
è avvenuto per la soia ibridata con la noce del Brasile e con il triptofano
negli Stati Uniti) pericolose per chi assume le sostanze modificate?
5-
Come si pensa, in definitiva, di poter
controllare i miliardi di reazioni, quasi tutte sconosciute, che legano le
infinite forme di vita, in un equilibrio che si è formato nei millenni e che è
in continua evoluzione? Se l’uomo incide comunque in questo equilibrio e porta
danni all’ambiente anche con le tecnologie fino ad oggi adoperate, non è questa
un’ottima ragione per usare maggiore cautela in un territorio (quello delle
manipolazioni genetiche) in cui l’azione può avere un impatto ancora più
devastante ed in cui la conoscenza è solo agli albori?
6-
Come si può evitare che la scelta di
alcune specie a più alto rendimento e di maggiore interesse economico per chi
non solo detiene il brevetto, ma può allo stesso tempo condizionare i mercati
globali, porti alla scomparsa delle colture e tradizioni locali (di minore
impatto ambientale) e soprattutto ad una rapida riduzione della biodiversità?
7-
Come si può evitare che i paesi in via
di sviluppo, ricchi di diversità genetica e privi di tecnologie, non subiscano
una nuova forma di colonizzazione da parte dei Paesi detti sviluppati, che
imporranno loro i diritti di autore su ogni coltivazione commerciale?
8-
Come si può evitare che i brevetti
sulle sequenze geniche e sui tessuti o cellule umane ostacolino un normale
progresso scientifico con l’introduzione del segreto industriale nella ricerca?
9-
Come mai in questo settore non ci si è
informati sul risultato disastroso che una simile legge ha prodotto negli Stati
Uniti? Come si legge sulla rivista scientifica Nature (12/12/96, vo.384,
p.500), negli Usa i maggiori istituti di ricerca come lo stesso Nih, non
richiederanno mai più brevetti su sequenze geniche o materiale cellulare e
condannano la prassi di concederli su scoperte e conoscenze che rappresentano
strumenti indispensabili per la ricerca.
Per
quale ragione l’Europa dovrebbe ripercorrere una strada già rivelatasi errata
altrove?
10 – Se l’industria
pensa al benessere del consumatore, per quale ragione essa ha fino ad oggi
ostacolato gli sforzi di quest’ultimo di soddisfare il suo diritto ad una
chiara etichettatura, che gli conceda la possibilità di scelta dei prodotti da
consumare?
11 – Se l’industria
vuole soddisfare la necessità di cibo nel mondo, ovvero ‘risolvere il problema
della fame’, per quale ragione ha brevettato la tecnologia Terminator, che
rende le piante sterili alla seconsa risemina, danneggiando gravemente gli
agricoltori dei Paesi poveri?
12 – Se gli organismi
modificati geneticamente causano danni alla salute o all’ambiente, chi pagherà
i costi di questi danni? La mancanza di una chiara etichettatura rende
impossibile risalire ai responsabili e la mancanza di studi scientifici
adeguati rende impossibile fare una previsione sulla entità del danno (ragione
per cui nessuna compagnia di assicurazione ha mai accettato di firmare una
polizza!).
13 – In materia di
xenotrapianti, come si può evitare che eventuali virus latenti, non
identificabili perché sconosciuti, vengano trasmessi dall’animale ‘donatore’
nell’organismo del ‘trapiantato’ con il rischio di scatenare, attraverso
quest’ultimo, una nuova imprevedibile epidemia (come quella dell’Aids) causata
dall’adattamento (molto aiutato dagli immunosoppressori impiegati) di uno di
questi virus alla specie umana?
14 – Sempre in
materia di xenotrapianti, come si può accettare (o evitare) che il trapiantato
divenga quella che i suoi chirurghi chiamano una chimera umana, le cui cellule, in tutto l’organismo, sono mescolate
con quelle dell’animale donatore?
15 – Se è consentito
creare animali transgenici ai fini della ricerca in modo tale che la loro
sofferenza o menomazione fisica siano proporzionali ai risultati ad all’utilità
medica per l’uomo, con quali criteri potranno essere valutate la sofferenza e
le menomazioni fisiche degli animali?
16 – Nel caso di
animali umanizzati per la ricerca
scientifica o per la donazione di organi con l’introduzione di alcuni geni
umani, quale numero massimo di geni si ritiene lecito inserire nell’animale (è
facile immaginare che la tendenza sia verso una umanizzazione sempre maggiore per rendere il modello animale sempre
più simile all’uomo o l’organo da trapiantare sempre meno soggetto al rigetto)
in base ad un normale concetto di rispetto del corpo umano ed in base anche al
recente voto dell’Assemblea Generale dell’Onu) (cfr. la domanda successiva)
17 – L’Assemblea
Generale dell’Onu ha fatta sua , il 10/12/98, la Dichiarazione sul Genoma Umano
dell’Unesco (11/97) per cui il Genoma Umano è patrimonio dell’Umanità e non può
essere oggetto di attività commerciali; come si può conciliare questo
importante accordo internazionale con una legge che consente i brevetti sulle
parti del corpo umano, privatizzandole ed equiparandole ad una merce?
18 – Come si può
brevettare, dunque equiparare ad una invenzione, quella che è la scoperta di
elemento esistente in natura, di una parte o di un tutto di un essere vivente,
che costituisce un elemento del patrimonio genetico tramandato da sempre su
questo pianeta? Se anche (ma questo non è il caso dei brevetti sui geni o sulle
parti del corpo umano) vi è l’introduzione di una modifica da parte dell’uomo,
questo non consente a quest’ultimo di dichiararsi ‘l’inventore’. Come ha detto
il giudice Marc Nadon, della Corte Federale canadese nel rifiutare il brevetto
all’oncotopo, “…hanno introdotto una modifica nel topo, non hanno mica
inventato il topo! Un animale non è materia prima per invenzioni”.
19 – Cui prodest?
Cioè: a chi giova? Visto che gli aumenti di produzione, anche quando presenti,
sono minimi e che i rischi sono così alti, a chi gioveranno gli Ogm se non agli azionisti delle industrie biotecnologiche?
20 – Se la diffusione
di Ogm dovesse rivelarsi un terribile errore, come si potrà ripulire il
pianeta?
Parabéns Chiara! Contamos contigo para a luta contra os trangenicos também no Brasil. J. Renato Barcelos, Advogado, Conselheiro da A GAPAN.
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